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Libriamoci 2018 – Giorni n. 2 e 3 (ma lei ha pianto mentre scriveva?)

“Le è capitato di piangere mentre scriveva il suo libro?”.

“Oddio, può darsi. Sono una che si commuove facilmente. Però non posso dirlo con certezza. Perché mi fate questa domanda, a voi è venuto forse da piangere leggendolo?”.

La mattina numero due alla scuola media Leonardo da Vinci di Poggibonsi, nella quale sono stata invitata nell’ambito di Libriamoci 2018, trascorre fra le letture di brani scelti della Guerra di Pietro da parte di alcuni studenti e le domande di altri.

Quando ha deciso di scrivere il libro? Quanto tempo ci ha messo? I suoi parenti le hanno raccontato episodi dell’ultima guerra? Che effetto le hanno fatto?

Rispondo con una certa prolissità, mi pare. D’altra parte non mi sento molto bene, stamani sono stranamente stanca, mi stanno spuntando delle bolle pruriginose addosso (effetto di una qualche intolleranza a qualcosa che avrò mangiato, chissà) e il mio cervello mi sembra abbastanza rallentato.

Stavolta torno a casa con una pianta in vaso, una bella pianta con un fiore carnoso rosso al centro (dovrebbe chiamarsi guzmania, credo). Un regalo da parte di tutti i ragazzi e i docenti che ho incontrato in questi giorni. Sinceramente non me l’aspettavo. Mi sembrava già molto che mi avessero scelta e che avessero avuto l’interesse e anche la pazienza di ascoltare le mie storie.

I bambini leggono le loro frasi, sedendosi accanto a me, al microfono. Lascerei volentieri che fossero solo loro a parlare e a raccontarmi che cosa hanno provato e perché.

Quelli che ho incontrato il secondo e il terzo giorno di questa piccola avventura scolastica, La guerra di Piero di De André la conoscevano. “Ce l’ha fatta sentire il professore in classe”.

Perché il titolo del libro è come quello della canzone, mi ha chiesto una ragazzina, se parlano di cose differenti?

Dirò una banalità, ma con i ragazzi niente è scontato. La storia, le canzoni, i riferimenti.

Cronologicamente ci separano anni luce. Poi, per fortuna, ci sono aspetti della vita il cui valore non cambia con il passare del tempo.

Quando parlo di Tina e dell’ingiustizia che fu costretta a subire, alcune ragazzine scuotono la testa, partecipi e incredule.

Cosi come quando racconto la storia di Alvara che va a buttarsi sotto il treno tenendo il figlio di otto anni per mano. È allora che sento il silenzio aprirsi intorno a me, denso, vedo i loro occhi ben aperti, tutti concentrati nel non perdersi nemmeno una parola.

Forse è questo il punto che li ha fatti piangere, anche se, probabilmente, non lo ammetteranno mai.

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Libriamoci 2018 – Giorno n. 1 (la ragazza con il libro)

Se devo fare un bilancio di questa prima mattina a scuola, per me è positivo. Per dirlo mi basta l’immagine della ragazzina che ha afferrato il mio libro ed è uscita dall’aula stringendoselo al petto.

Lei è stata quella più veloce. Alle altre tre che nel frattempo si erano avvicinate alla cattedra ho detto di aver pazienza, che poi sarebbe toccato anche a loro.

Sono alla scuola media Leonardo da Vinci di Poggibonsi dove mi hanno invitato nell’ambito di Libriamoci, edizione 2018. In questa settimana (22-27 ottobre) in tutte le scuole d’Italia si organizzano incontri con autori e altre iniziative, nell’ottica di promuovere la cultura e la lettura fra gli studenti.

Ho chiesto ai ragazzini se leggessero libri. No, hanno detto tutti. Eccetto qualcuno.

Una situazione abbastanza desolante. Però qualcuno, o meglio qualcuna, che legge con passione e curiosità c’è.

Non conoscono nemmeno La Guerra di Piero di Fabrizio De André, la canzone di cui ho preso in prestito il titolo (aggiungendo la t di Pietro). Solo una ragazzina alza la mano. “La ascoltava mia sorella”.

Arrivo a scuola qualche minuto prima delle otto e mezzo. Mi accoglie la bidella che mi accompagna nella classe dove si terrà l’incontro. Sulla cattedra c’è un computer portatile collegato a uno schermo. Dobbiamo solo trovare il modo di collegarli. Per fortuna ho in borsa la chiavetta con le foto delle lettere e dei luoghi del libro, così posso far vedere anche qualche immagine.

Vedo che manca il microfono. Per puro caso mi è venuto in mente prima di partire di mettere in borsa l’amplificatorino da guida turistica che mi sono fatta regalare per il compleanno. Credo proprio che questa sia l’occasione giusta per inaugurarlo.

I ragazzi di una delle due classi che incontrerò stamani sono già seduti. Scambio due parole con la loro professoressa, mentre un’altra va in cerca di una stufetta. La sala è grande e illuminata da ampie vetrate. Peccato che per permettere di mostrare le immagini vengano tirate le tende.

Arriva anche l’altra classe, con i docenti, uno dei quali sistema i collegamenti del computer.

Si può cominciare. Mi presento e comincio a raccontare come è nata l’idea di scrivere il libro dopo il ritrovamento delle lettere scritte dallo zio Pietro. I ragazzi sono abbastanza attenti. Cerco di coinvolgerli facendo loro qualche domanda, anche banale (tipo: avete mai visto questa casa sulla strada per Colle?). Tenere desta la loro attenzione non è cosa da poco.

In generale sono abbastanza silenziosi. Ringrazio comunque il mio piccolo amplificatore.

Quando comincio a raccontare le vicende narrate nel libro, la storia di Tina, con lo scandalo e la cacciata di casa, li vedo più presenti.

Leggo qualche brano. Una lettera di Pietro in cui racconta alla sorella come vivevano in quegli anni di guerra, il suicidio di Alvara. Quando leggo l’episodio del barrocciaio che finisce sotto il ponte dell’Armi con il carro e delle donne che si precipitano a raccogliere polli, conigli e uova portandoseli a casa, sento addirittura qualche risata. In particolare nel punto che dice che nell’aria si sentivano solo le bestemmie dell’uomo, arrabbiato per aver perso tutta la roba che avrebbe dovuto vendere al mercato di Colle.

Nell’ultima parte dell’incontro i ragazzi sono un po’ stanchi e parlano fra sé. Cerco di attirare nuovamente la loro attenzione rivolgendo loro qualche domanda.

Ma voi li leggete i libri? No.

Ormai siamo vicini all’intervallo e l’attenzione è volata via.

Lascio in regalo una copia del libro e li saluto.

La mattina non mi pare sia andata sprecata.

(Avvertenza – in questo post si usano parole fuori tempo e fuori legge come scuola media e bidella. Con la speranza che nessuno si offenda, nel caso ciò dovesse accadere, ce ne scusiamo fin d’ora con gli interessati)

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Tutti i libri che non ho letto

Ogni tanto mi torna in mente la tipa che mi ha tolto l’amicizia da Facebook dopo aver fatto (lei) una sparata su quelli che si vantano di aver letto libri che in realtà non hanno mai letto (probabilmente e oscuramente io).

Mi viene in mente per contrappasso, credo, nello stesso momento in cui mi assale l’ansia per tutti i libri che veramente non ho letto.

Roba che chiederei una dispensa fino a 200 anni solo per mettermi in pari anche se poi non basterebbero perché con tutti quelli che continuano a uscire, e che ce n’è sempre di buoni, non sarebbe mai finita.

Cioè in pratica io divoro libri fin da piccola però succede che se penso a quelli che mi mancano mi pare di aver perso solo tempo. Ma che cosa ho letto in quasi mezzo secolo di letture se mi manca praticamente tutto?

Ecco, per dire, lasciamo stare i russi che lì son dolori proprio e uno mi dovrebbe bannare semmai perché non ho letto Anna Karenina se proprio deve. E poi non ho letto I Fratelli Karamazov, L’idiota e chissà quanti altri. Tanti, lo so.

A mia discolpa, vostro onore, posso dire che sto leggendo, ora, Il Maestro e Margherita, che a suo tempo ho letto Guerra e pace, con infinita soddisfazione pure, e che per Delitto e castigo sono ferma a metà. Dal 1998 (son cose che lasciano il segno).  E ho iniziato anche Cuore di cane (ricorda di finirlo).

E dei francesi, che dire? Tolti Maupassant (Bel Ami, Una vita, Racconti), Stendhal con Il Rosso e il Nero e La Certosa di Parma, Flaubert con Madame Bovary, mancano: Victor Hugo, Honoré de Balzac e tutto il resto.

Non ho letto nemmeno Il Conte di Montecristo e, seppure un tempo me li portassi appresso con la speranza di farcela, non posso vantare la lettura dei Buddenbrock e della Montagna Incantata di Thomas Mann.

Non ho letto Pastorale americana né Lamento di Portnoy di Philip Roth. Non ho letto Infinite jest né nessun altro libro di David Forster Wallace. Non ho letto nemmeno quello della vita di quel tipo che tutti dicono che è un capolavoro (appena me lo ricordo lo scrivo) e di Jonathan Safran Foer ho letto solo Ogni cosa è illuminata. Pynchon e McCartney,  niente da fare. E Saul Bellow, Singer. Né Kurt Vonnegut, Lovecraft, McCann.

Ho già deciso che il prossimo libro sarà Il mondo secondo Garp di John Irving che non ho letto niente nemmeno di lui.

Poi non ho letto il Signore degli anelli né la saga di Harry Poter.

Fra gli autori che hanno vinto il Nobel ne avrò letti un terzo per non parlare di quelli del Pulitzer.

Zero anche su Dick, fantascientifici, ucronici e distopici. Sono terribilmente indietro anche con Stephen King del quale ho letto solo La lunga marcia e On writing.

Mi manca l’aria, davvero, devo smettere di pensarci. Non so come è potuto succedere tutto ciò.  Mi sento come se dovessi ancora cominciare da capo. Qualsiasi cosa abbia fatto fino a ora mi pare che da vantarsi ci sia proprio poco.

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Vecchie questioni, nuovi autori

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“Questo me lo ha regalato un’amica ma prendilo te”. Fu così che, per una pasqua di qualche anno fa, mamma mi dette un uovo di cioccolata delle Tre Marie. Buono, credo di ricordare. Ma quello che non me lo fa dimenticare è la sorpresa, che ho ritrovato mettendo a posto la libreria. Un libriccino minuscolo con una storia scritta per l’occasione: “Vecchie questioni” di Lucia Tilde Ingrosso per la serie “Camilla Serra indaga”.

È un’iniziativa delle Tre Marie con la Scuola Holden. Mi è piaciuta proprio tanto. La storia è una microstoria, ma pensare di metterla dentro un uovo di Pasqua, al posto delle tante inutili sorpresine, mi è sembrata un’idea fantastica.

Oggi non solo me la sono riletta ma ho anche fatto qualche ricerca sull’autrice e sugli altri scrittori, sette in tutto, che hanno partecipato a questa cosa, anche per capire come li avevano selezionati. E sono venute fuori delle belle scoperte.

Lucia Tilde Ingrosso, 48 anni, giornalista a Millionaire, ha scritto sotto lo pseudonimo Assunta Di Fresco alcuni libri umoristici sul mondo del lavoro e sui curriculum. E’anche  l’autrice dei gialli dell’ispettore di polizia Sebastiano Rizzo, ambientati a Milano, con uno dei quali ha vinto il premio Scerbanenco.

Alessandro Soprani, 47 anni, è un tipo che ha scritto un romanzo, pare bello dalle recensioni (“L’ultima estate che giocammo ai pirati”). Purtroppo pare che le sue tracce (letterarie) si perdano al 2011. Per l’uovo di pasqua ha scritto “Cosa porta la notte”.

Vins Gallico, 40 anni, è libraio e traduttore. Ha scritto “Final cut” e “Portami rispetto”. Il suo raccontino sorpresa è “Giocatori”.

Ovviamente io ho letto solo quello della Ingrosso, legato all’uovo che mi è toccato in dono. Non saprei nemmeno come fare per recuperare gli altri. Forse qualcuno è stato pubblicato on line. Nel prossimo giro lo verificherò.

Veronica Tomassini, che non dice la sua età “tanto non la dimostro”, scrive sul Fatto Quotidiano. La ricerca di stamani mi ha permesso di scoprire un blog, il suo, veramente molto interessante. Ha scritto un romanzo, “Sangue di cane”, e altre cose. Per le Tre Marie ha firmato “La migliore medicina”.

Luca Martini, 45 anni, ne ha scritti un bel po’ fra poesie e racconti e ancora continua. Per cercarlo su google, visto il nome abbastanza comune, bisogna specificare scrittore e poi arriva anche lui in mezzo a dentisti e altri omonimi. Nella biografia si dice che il progetto delle Tre Marie con la Holden, al quale ha contribuito con “La prospettiva criminale”, ha avuto una tiratura complessiva di 110mila copie.

Marialuisa Amodio, 37 anni, è traduttrice e ha firmato “L’era del Leviatano”, romanzo fantastico e distopico. Per l’uovo di pasqua aveva scritto “Lo scambio”. E’ autrice di diversi racconti.

Infine c’è Gianni Tetti, con “Un bikini da 30 milioni di euro”, anche lui di età indefinita ma sempre giovane, con un po’ di romanzi all’attivo (“Mette pioggia”, “I cani là fuori”) e scritture per cinema e tv.

Tutte queste ricerche le ho fatte all’alba, quando chissà perché mi sono svegliata senza più un filo di sonno, e mi hanno divertito molto. Mi ha fatto piacere conoscere questi giovani autori a me sconosciuti, ognuno con la propria personalità, le proprie idee (nel senso di fantasie) e il proprio modo di stare al mondo occupandosi di letteratura.

A volte le sorprese dell’uovo di pasqua sono veramente sorprendenti.

 

 

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Come ti organizzo la libreria

Ecco, penserete, questa ha appena finito di leggere il libro sul magico potere del riordino e già si mette a concionare sull’argomento come se fosse suo. No no, tranquilli tutti.
Se c’è una che non può dire niente su ordine e organizzazione quella sono io. Nonostante i limiti però mi impegno, e molto.
E i risultati alla fine si vedono.
Prendete la mia libreria, quella grande, in pannelli di gesso. Dopo settimane di lavoro sono riuscita a dare un certo ordine. Non è ancora finita.
C’è stato da riaggiustare l’intonaco di due paretine. Altri lavori in corso rallentano la sistemazione definitiva dei libri, ma ora posso finalmente affermare con un certo orgoglio che il grosso è fatto.
Allora, nel ripiano in alto sono andati i libri grandi: fotografia, animali, città, natura, qualche enciclopedia. Poi ci sono gli anglosassoni attempati, i tedeschi, i francesi, i toscani.
Un altro ripiano ospita gialli e polizieschi, un altro gli stranieri contemporanei e un altro ancora gli italiani attempati (con i latini). Un piccolo spazio è riempito dai libri di Piero Chiara (di babbo). Poi gli italiani contemporanei, altri stranieri contemporanei e uno scaffale per i libri scritti da persone che conosco.
Vado molto orgogliosa del reparto basso (ma non bassissimo, perché sotto ci sono degli sportelli): fumetti, poesia, arte, musica. Uno spazio è riservato ai libri piccoli, tipo i racconti singoli pubblicati dai giornali o simili.
Sugli scaffali vicino al tavolo ci sono: una selezione dei miei preferiti, i libri in lingua originale (inglese e francese), i libri superficiali, i vocabolari.
In camera c’è una libreria ordinatissima che ospita: la mega collezione di Julia, i libri della tesi di laurea su Pasolini, tutti i Sellerio, i volumi di almeno quattro collezioni di letteratura pubblicate da Corriere e Repubblica (e forse anche dal Sole 24 Ore).
Sulle mensole ci sono i libri da leggere a breve, una selezione di volumi per ragazzi (mi piace dormire nella stessa stanza con Piccole donne e Pippi Calzelunghe), un bel po’ di libri di argomento più o meno mistico e un po’ di Camilleri extra Montalbano dei quali mi vorrei disfare.
Nelle scatole ci sono ancora le minoranze (africani e indiani d’America), saggi vari su Dante e affini, libri di antropologia, cinema, teatro. E un sacco di fuffa mista.
Ho già preparato degli scatoloni di libri (soprattutto scolastici) da dare via (dove, si vedrà).
Riordinando mi aspettavo di trovare qualche doppione, ma non credevo tanti.
Il giovane Holden e Colazione da Tiffany, entrambi anche in lingua originale, erano quasi scontati. Ma la doppia copia di Nudi e crudi di Alan Bennet, Strade blu di Least Heat – Moon, La mia famiglia e altri animali di Gerald Durrel, Senilita’ di Italo Svevo (fra l’altro mai letto) addirittura in tre copie, e Scorre la Senna di Fred Vargas, mi hanno piuttosto stupito.
Nessun problema. Sono già nella scatola da cui attingere per i prossimi regali.
Invece ho notato alcune sparizioni. Un libro che temevo di aver perso, Naufragio con spettatore, è fortunatamente riemerso dagli scaffali.
Niente da fare invece per un giapponese che adesso non ricordo (ma credo sia stato “Libro d’ombra” di Junichiro Tanizaki) e L’Algarabie, libro in lingua originale, il francese, di Jorge Semprun. E chissà quanti altri che adesso non ricordo. E anzi spero di non ricordare mai.
Ogni tanto però capita che questi libri perduti riaffiorino da qualche parte, come la Madame Bovary tradotta da Natalia Ginzburg, ricomparsa in uno scaffale dei piani di sopra.
Anche questa è una piccola gioia.

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Libri, libri e ancora libri

Qualche tempo fa su facebook girava un giochino in cui si chiedeva di scrivere una lista con i dieci libri che ci avevano più influenzato nel corso della nostra vita, condividendola con un certo numero di amici, chiamati a loro volta a partecipare.
Anche io, chiamata in causa da non ricordo chi, lo feci.
In quei giorni mi capitò anche di vedere il post di una tipa che si scagliava, con un livore sicuramente sproporzionato rispetto al caso in questione, contro chi partecipava a questo giochino. Secondo lei le persone lo facevano solo per esibire una cultura che non avevano e si inventavano di aver letto dei libri in realtà visti solo da lontano.
Ricordo che fui colpita dalla veemenza, e allo stesso tempo dalla stupida inutilità, di quello scritto, tanto che lo commentai subito con alcune amiche.
Fra l’altro mi assolsi subito dall’eventuale accusa. Un po’ perché figuriamoci se mi invento i libri che leggo, un po’ perché anche se ora non ricordo quali titoli citai, sicuramente non saranno stati niente di che.
Qualche giorno dopo invece, cercando il profilo della tipa, mi accorsi che mi aveva cancellato dalle sue amicizie. Quindi capii che quel post veemente su chi esibiva la propria falsa cultura era diretto anche a me.
Non mi misi a piangere per la perdita, tanto più che si trattava di un legame da social con una tipa che non conoscevo nemmeno nella realtà. Ma ci rimasi male lo stesso, soprattutto pensando alla persona da cui proveniva, che fino ad allora avevo anche stimato. Intendo dire che ci rimasi male per lei. La tipa, una bella ragazza, aveva abbandonato un passato giornalistico per compiere una scelta drastica e coraggiosissima con la quale aveva cambiato del tutto la propria vita. In meglio, pensavo fino a quel momento.
Ma evidentemente certe vecchie abitudini di categoria sono un po’ difficili da perdere.

Mi torna in mente questo episodio, strappandomi un sorriso (anche perché mi offre uno spunto per scrivere nel blog), mentre metto a posto la mia libreria. Un lavoro immane che rimandavo da secoli e che ora trovo invece quasi leggero e divertente.
Mi torna in mente la sensazione brutta che all’epoca quel post invelenito mi suscitò, quasi dovessi giustificarmi delle cose che dicevo o scrivevo.
Quasi come se, essendo appassionata di lettura da sempre, dovessi vergognarmene o non parlarne per non darmi inutili arie da intellettuale.

In realtà a me i libri piacciono da morire e non potrei pensare a una vita senza. Quindi ignorero’ bellamente chiunque non sia d’accordo con me. D’altra parte si tratta di una mia passione, mica di un’imposizione.
Mentre salgo sulla scala, libero gli scaffali, spolvero, scelgo, sistemo, ricordo la voglia che avevo da piccolina di imparare a leggere, tanto da non poter nemmeno aspettare di andare a scuola. Arrivai in prima elementare che già leggevo e scrivevo, per la gioia di compagni e maestro che infastidivo di continuo non sapendo che fare durante gli esercizi che concludevo subito. Sembro presuntuosa a raccontare questo? Non credo, poiché si tratta semplicemente della verità. Nel caso il problema sarebbe nella mente di chi legge queste mie parole.

Ringrazio i miei genitori che mi hanno cresciuta in una casa piena di libri. Ringrazio mia madre che mi ha guidato nella scelta delle prime letture importanti facendomi conoscere il giovane Holden e tanti altri meravigliosi personaggi della letteratura. Ringrazio mio padre che alcuni libri li ha addirittura scritti, rivelando una vena molto bella che ho da poco riscoperto e condiviso con gli amici più cari.

Ora però si pone un problema. Riordinando la libreria occorre alleggerire, buttare, regalare. Fino a oggi ho pensato che un libro non si butta mai. Ora per fortuna ho cambiato idea. Bisogna solo cercare di capire come muoversi.
Ma di questo ne parlerò la prossima volta.

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ma che bello ascoltare gli scrittori/3 (Andrea Scanzi e Silvia Truzzi)

Premetto che anche un sol giorno del festival Pordenonelegge ha talmente tanti appuntamenti, belli e interessanti, da non sapere dove mettere le mani. Uno deve sceglierne pochi e rinunciare ad altri. Io, per dire, ho rinunciato a incontrare Gordana Kuic’, la scrittrice del Profumo della pioggia nei Balcani, e Vanessa Diffenbaugh del Linguaggio segreto dei fiori, che presentava Le ali della vita. E mi è dispiaciuto molto.

Come terzo appuntamento potevo scegliere fra “Un Paese inventato. Un Paese da inventare”, con i giornalisti del Fatto Quotidiano Silvia Truzzi e Andrea Scanzi, e “Il cuore nero delle donne”, per finire il percorso giallo attraverso le storie delle assassine.

Sono andata al primo.

Un po’ per non fare proprio tutto un giro monotematico sul giallo.

Un po’ perché mi è sembrata una strana coincidenza ritrovarmi nello stesso posto di Scanzi, dopo appena due settimane da quando l’avevo conosciuto a Colle Val d’Elsa nello spettacolo su De Andrè con Giulio Casale. Anche a quello avevo partecipato per una serie di fortuite casualità.

Un po’ perché questo Scanzi è anche un bel ragazzo ed è pure intelligente. E magari rappresenta l’ideale di giornalismo che ognuno di noi vorrebbe vivere. Non solo libero nel senso di senza padroni, ma anche libero dagli obblighi della redazione. Sarei curiosa di capire come funziona al Fatto, se questo è sempre in giro per l’Italia a presentar i suoi libri e i suoi spettacoli.

Allora, l’incontro è stato molto interessante. Si è parlato di politica attuale, governo e società attraverso la memoria e il giornalismo.

Silvia Truzzi ha raccolto in un volume, Un Paese ci vuole. Sedici grandi italiani si raccontano, altrettante interviste realizzate per il Fatto. Sedici anziani, da Stefano  Rodotà, a Pietro Citati, ad Andrea Camilleri, a Gustavo Zagrebelsky, a Gherardo Colombo, Giovanni Sartori, Claudio Magris,  Luciana Castellina e altri che, per la loro vita, esperienza, cultura, avrebbero da dare tanto, ma in questo tempo e da questi politici non vengono presi in considerazione. Anzi, fosse per loro li rottamerebbero.

Tipo la Boschi, ministro Maria Elena, con i suoi “professoroni” che le vogliono bloccare le riforme.

Scanzi e Truzzi sono giovani carini e intelligenti (che è molto meglio che disoccupati, tanto per citare un film di parecchi anni fa) e il fatto che parlino del valore della memoria, della necessità di ascoltare gli anziani che possono dire cose importanti, a me ha perfino commosso.

Mi ha commosso perché lo penso da sempre, ma sono quei pensieri in cui ti senti sola o magari in due. Ora pare che potremmo essere addirittura in quattro, ma in realtà non è così. Siamo molti di più.

E’ solo il pensiero dominante che va in un’altra direzione. In questo momento.

“La memoria è rivoluzionaria” hanno detto. E ora non ricordo se era una loro affermazione o una citazione di qualcun altro ma poco importa. E’ proprio così.

Scanzi ha scritto La vita è un ballo fuori tempo che parla di un giornalista un po’ sfigato e allineato che scrive per un giornale che si chiama La Patria e vive in un periodo storico in cui c’è un presidente del consiglio un po’ così. Così come Renzi, per esempio.

Scanzi racconta che credeva di avere esagerato, descrivendo i personaggi e mettendo loro in bocca determinate frasi. Antonio Padellaro, allora direttore del Fatto, lo aveva tranquillizzato. Non era affatto così. E infatti pochi mesi dopo l’uscita del libro certe affermazioni da parte del premier sono diventate reali, se non addirittura superate.

Una tristezza. Triste la situazione, che conosciamo perfettamente. Da tempo, nel senso che il problema non è Renzi, o almeno non solo lui.

Triste il quadro giornalistico nazionale tracciato dai due colleghi.

Secondo Scanzi di questi tempi si sarebbero allineati al potere anche gli artisti. Che, se fosse vero, sarebbe proprio la fine di tutto.

De Andrè, che Scanzi ben conosce e infatti cita, definì l’artista come l’anticorpo che si è creato la società per difendersi dal potere. Se si integra anche lui, lo prendiamo nel culo tutti.

Così,  tanto per finire in poesia.

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ma che bello ascoltare gli scrittori/2 (Maurizio De Giovanni)

Finito il primo sono scattata di corsa per raggiungere il posto del secondo incontro pronta a fare un’altra lunga fila. Camminando per il centro sono stata agganciata da un ragazzo del Senegal che, nonostante le mie proteste, è riuscito ad appiopparmi un libretto sulla cucina africana.

E questo è stato il mio bottino al festival della letteratura di Pordenone.

Dopo aver sbagliato coda ed evento, per fortuna ci hanno chiuso la porta in faccia per esaurimento dei posti, ho finalmente trovato il padiglione di Maurizio De Giovanni, il creatore del commissario Ricciardi.  (A proposito… ha anche un nome? Comunque sia ora non mi viene).

Io pensavo che, quando avessi incontrato De Giovanni, gli avrei voluto dire quanto mi fa incazzare quando gigioneggia con la penna riempiendo pagine e pagine di svolazzature partenopee e interrompendo (volutamente, ovvio) il ritmo della narrazione di quelle storie che ci piacciono tanto.

Ecco. Me ne sono dimenticata. Quell’omone là, la personificazione del napoletano che più ci piace, uno che sembra il fratello di Pino Daniele, mi ha fatto talmente ridere e divertire che non avrei potuto dirgli proprio nulla del genere.

Poi, a quanto pare, c’è già chi lo fa.

“A tutti i complimenti – ha  detto -, a me i cazziatoni”.

Un giorno, ha raccontato, era al bancone di un bar, a Napoli, a bere un caffè quando una donna attraversò la sala puntandogli il dito contro: “Io glielo devo proprio dire (senza presentarsi, senza dire buongiorno io sono la tale e leggo i suoi libri, no) lei, se non la smette di trattare così quella povera Enrica non so che cosa le faccio. Ma le sembra il modo di comportarsi con una ragazza così dolce e timida?”. Quindi, senza aspettare risposta, se n’era tornata dall’amica. “Ecco, gliel’ho detto”.

Il commento del barista: “Un euro”.

De Giovanni: “No, sa… è che io scrivo romanzi…”

Il barista, irremovibile: “Un euro”

Questo aneddoto lo ha raccontato dopo che dal pubblico si era alzata una signora che gli aveva detto più o meno la stessa cosa.

“Io sono arrabbiata con lei. Ma li vuole far sposare quei due? Che cosa aspetta? Guardi che se Ricciardi non sposa Enrica io le auguro che i suoi racconti finiscano in serie zeta”.

Un’invettiva che ha generato anche un gesto scaramantico da parte dello scrittore.

“Eduardo De Filippo diceva: essere superstizioni è da ignoranti, ma non esserlo porta male”.

Appunto.

Ma insomma come è nato questo commissario Ricciardi? (ah ecco, Luigi Alfredo, si chiama, barone di Malomonte).

Allora in pratica siccome al De Giovanni piaceva stare sempre con quell’oggetto non identificato in mano, un libro, gli amici per fargli una sorta di scherzo, ma anche per incoraggiarlo chissà, gli regalarono l’iscrizione a un concorso che si teneva al Gambrinus di Napoli. In pratica gli iscritti dovevano scrivere un racconto nella sala del bar.

“Io non sapevo proprio che scrivere – racconta De Giovanni -. Me ne stavo lì, ad un tavolo vicino alla vetrata, e guardavo fuori. Tutti gli altri sapevano che cosa volevano scrivere. Io no. Il concorso era sponsorizzato dalla ribolla gialla. Passavano delle signorine con la minigonna e ci versavano il vino. Faceva un caldo pazzesco. Loro versavano, noi si beveva e si sudava. Alla vetrata c’era una bambina che da fuori guardava all’interno della sala. Lei mi guardava e io la guardavo. A un certo punto mi fece una boccaccia e se ne andò. Io mi guardai intorno pensando che gli altri l’avessero vista e pensassero che l’avevo infastidita in qualche modo. Invece niente, stavano tutti lì a scrivere e non l’aveva vista nessuno. Allora immaginai che quest’uomo vedesse qualcosa che nessuno vedeva. Vinsi il concorso“.

Ma non è finita qui.

“Quando mi mandarono l’email del vincitore risposi dicendo che avevano sbagliato l’invio. Ma invece mi dissero che era proprio per me. Poi ci fu la selezione nazionale e feci una nuova storia di Ricciardi. E vinsi di nuovo”.

Era il 2005.

“Ma io lo scrittore non lo volevo fare. Volevo fare il lettore”.

Fra risate e applausi De Giovanni analizza la solitudine del suo personaggio Ricciardi.

“Una solitudine data dalla compassione che lui prova per il genere umano ma resa ancor più forte, assoluta, dal fatto che lui, di questo ‘dono’, quello che considera la sua maledizione, non può parlarne con nessuno. Una solitudine disperata, la sua. Il segno dei nostri tempi è il telecomando. Noi cambiamo canale quando quello che vediamo non ci piace. Io volevo uno che non fosse in grado di evitare il dolore degli altri”.

Dell’evoluzione della storia fra Enrica e Luigi Alfredo niente si sa.

“Io quando scrivo un romanzo preparo la trama del fatto, quello che poi fanno i personaggi viene fuori da sé in un secondo momento. Non so dire che cosa accadrà. Dipende se Enrica deciderà di sposare l’uomo che ama o se invece privilegerà il sogno di una famiglia con dei bambini”.

Una anticipazione. “Le nuove storie del commissario Ricciardi si incentreranno su delle canzoni”.

Fino ad ora ci sono state le stagioni e le feste comandate. Ma già nell’ultimo libro, “Anime di vetro”, la storia ruota intorno a una canzone del cantautore napoletano Libero Bovio.

Alla fine un regalo per tutti.

Il primo capitolo, letto proprio da lui, del prossimo libro dei Bastardi di Pizzofalcone, “Cuccioli”, un’altra serie poliziesca nata in onore di Ed McBain, lo scrittore americano di origini italiane morto nel 2005 che considera il suo maestro.

Quindi, l’appello per Napoli. L’invito a non pensare, come ha fatto in questi giorni Rosy Bindi, che la criminalità organizzata sia una malattia incurabile in Campania.

“Abbiamo tremila anni di storia alle spalle, questa è solo quella degli ultimi 150 anni, nata fra l’altro a causa di un vuoto lasciato dallo Stato. Non possiamo misurare tutto in base a quella. E soprattutto, non è una malattia incurabile”.

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ma che bello ascoltare gli scrittori/1 (Antonio Manzini e Hans Tuzzi)

Bene. Caduto un altro pregiudizio. Non so perché ma, al contrario del fascino continuo che subisco dalla letteratura, non ero mai stata molto attratta dai festival letterari.

Poi da qualche parte devo aver letto (distrattamente) una sorta di appello di uno scrittore (Daniel Pennac?) che invitava a leggere i libri più che a cercare risposte impossibili dagli autori e la cosa mi aveva messo l’anima in pace. Anche perché, sinceramente, non amando la folla, le code e le corse con l’orologio in mano, oltre ai programmi troppo fitti, le maratone da festival letterario non rappresentavano proprio il mio ideale.

Fino all’altro giorno, quando, fattami forza, ho finalmente deciso di fare un salto al festival a me più vicino geograficamente, Pordenonelegge.

Ovviamente c’era tutto ciò che mal sopporto: la folla, le code per i vari eventi, le corse con l’orologio in mano e un programma fittissimo (che ognuno, sia chiaro, può seguire a piacimento). Ma per una volta ho deciso di fregarmene. E ho fatto bene.

Il primo passo è stato quello di cercare di districarmi in un programma di cento pagine che ogni giorno proponeva decine e decine di appuntamenti, uno più interessante dell’altro. La mia attenzione si è concentrata sulla fascia rossa “letteratura” ignorando attualità, i libri dei ragazzi, poesia, scienza filosofia e storia, da vicino, esercizi… di lettura, e via dicendo.

Nella giornata che mi interessava c’erano due autori di cui ho letto tutta la produzione, gli ultimi libri nemmeno un mese fa, Antonio Manzini, creatore del commissario Rocco Schiavone, e Maurizio De Giovanni, quello del commissario Ricciardi.

Individuato il luogo giusto mi sono messa pazientemente in fila e mi sono guadagnata il mio bel posto in sala (gli eventi sono gratuiti ma un po’ te li fanno sudare, ecco).

Sul palco, stimolati dal giornalista di Radio Due Luca Crovi, molto bravo, c’erano Antonio Manzini e Hans Tuzzi.

La prima sorpresa? Ascoltarli è stata una cosa piacevolissima.

La seconda: è che il livello della conversazione, senza nulla togliere ai romanzi che sono pur sempre dei gialli, è stato molto più alto di quello che si poteva immaginare.

La terza è che Hans Tuzzi, pseudonimo di Adriano Bon, è un signore dalla simpatia tagliente e dalla cultura sconfinata.

Insieme, Manzini e Tuzzi-Bon, guidati da Crovi, hanno regalato un’ora di rivelazioni, curiosità ed emozioni.

Io ho anche pianto. Non so nemmeno come. Parlavano del ruolo degli animali nelle storie da loro scritte.

Tuzzi: “La frequentazione di un animale ci insegna una realtà profonda, il rispetto stesso della vita nelle sue diverse manifestazioni”.

Manzini: “Non solo della vita, ma anche della morte. Il cane quando muore se ne va da parte, non sta nel mezzo. C’è la dignità della morte”.

In quel momento l’aria nella sala si è come ristretta ed è passata una ventata forte di emozione. Ci credete? non Importa. Io c’ero ed è stato proprio così. Tanto che, inspiegabilmente (anche se non troppo, visti i precedenti con i miei cani) mi sono spuntate le lacrime dagli occhi. E’ stato un momento molto intenso, davvero.

poi ci ha pensato Tuzzi ad alleggerire.

“Basta pensare chi sono nella società occidentale coloro che non tollerano gli animali. Le suocere e i sacerdoti”.

Risata collettiva.

Poi ci sono stati: le Clarks del commissario Rocco Schiavone, la sua fissa di trovare la somiglianza fra persone e animali, il carcere, il ruolo della moglie e le parole che gli propone.

E ancora: gli anni ’80, in cui Tuzzi ambienta i suoi gialli, le inchieste del commissario Melis, “allora mi sentivo già vecchio e pensavo che il mondo avesse dato il massimo venti anni prima”.

Fra la romanità ironica e scanzonata di Manzini e la signorilità di Tuzzi l’ora è proprio volata.

Dopo, la sensazione che in quei libri ci sia molto di più rispetto a quello che può sembrare, si è fatta ancora più forte.

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i libri ritrovati/2

oggi ho rimesso a posto la mia misera biblioteca bellunese

16 riquadri expedit (ikea) ingombrati, oltre che da libri di narrativa, di testi e agende giornalistiche, vocabolari, codici penali, cataloghi d’arte e pile di giornali

una scaffalatura veramente miserrima (compensata però dai quasi 4mila titoli nell’e-reader)

nonostante ciò, ho scovato altri libri ricevuti in dono e mai letti

Uno, nonostante covi molti pregiudizi nei suoi confronti, dovrò decidermi a leggerlo perché lo trovo citato sempre più spesso e da più parti

I pilastri della terra di Ken Follett mi appare infatti come il classico polpettone americano sul quale non vorrei perdere troppo del mio tempo

ken

lo dissi subito all’amico che me lo donò per il compleanno del 2007

“Noooooo non lo leggerò mai”

Ecco, ora pare che sia venuto il tempo del mai, con questa storia dei libri ritrovati

Lo avviserò, magari ne sarà gratificato. Un minimo

Sul comodino, con un segnalibro a pagina 258 (ma credo che ci sia finito a caso, mi pare un po’ troppo avanti) c’è Le correzioni di Jonathan Franzen

franz

mi fu regalato in occasione di una cena a casa mia

il buffo è che è stato donato anche alla mia mamma, proprio lo stesso identico libro

prometto: leggerò anche questo

infine, laggiù in fondo, dove nessuno poteva vederlo né trovarlo, cercarlo mai perché dal momento che l’ho ricevuto in regalo, capita la grande sòla, me lo sono subito dimenticato, c’era un grande mattone azzurro

La setta dei libri blu di tale Gordon Dahlquist

blu

e qui siamo al compleanno del 2008 quando, con un’amica la cui data di nascita è poco distante dalla mia, come giorno e mese, decidemmo di regalarci lo stesso libro, io a lei e lei a me

passammo un sacco di tempo in libreria, ricordo, a entusiasmarci fra gli scaffali per quel titolo e per quell’altro

alla fine, stanche e confuse, chissà perché, scegliemmo il polpettone fantasy

che poi forse, rileggendo meglio la costola, proprio fantasy non è

c’è pure una dedica speciale. a giudicare da quella sul mio libro qualche anno fa la mia amica ed io eravamo praticamente adolescenti

chissà che cosa avrò scritto io, sull’altra copia, a eterna testimonianza di chissà ché?

insomma, il fatto è che dopo tanto tempo, forse anche solo per il fatto di averlo ritrovato, mi è proprio venuta voglia di leggerlo

anche se sono quasi mille pagine e di un formato più grande del normale

staremo a vedere

il sottotitolo è promettente

un ritorno ai tempi in cui un libro a ogni pagina ti catturava in un vortice di avventure

dice

chissà perché fino ad oggi non ci abbiamo mai creduto

è arrivato anche per questo il tempo di rendergli giustizia

ecco

avrete capito che per i prossimi mesi avrò il mio bel daffare

non vi preoccupate se non mi vedrete troppo in giro

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