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Sorprendente Delta del Po, là dove crescono le ostriche

La barchetta scivola silenziosa sulle acque della laguna facendosi strada in un labirinto di canneti. Nemmeno la nostra guida riesce sempre a orientarsi. “Una volta a Capodanno ho accompagnato dei ragazzi a una festa. Al momento di ripartire era scesa la nebbia. Devo ammettere che ci ho messo almeno mezz’ora solo per capire come riportarli a casa”.

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E’ il Delta del Po, una serie di canali formati dai detriti e dalle sedimentazioni del fiume (ricordate, a scuola, la differenza fra delta e estuario?). Un’oasi naturale che a vederla, così, dalla parte delle acque, nel silenzio, riempie il cuore e gli occhi. Paradiso degli amanti dell’ambiente ma anche dei cacciatori, che si appostano nelle botti, e dei pescatori.

Faccio parte di un gruppo di comunicatori arrivati un po’ da tutta Italia (anche dalla Slovenia). Siamo stati invitati da Eurogiornalisti che sta promuovendo un format per la comunicazione in positivo dei territori meno conosciuti, o gravati da luoghi comuni duri da abbattere, come il Polesine “solo nebbia e zanzare”. L’ospitalità e l’organizzazione della due giorni è di Confindustria VeneziaRovigo. Hanno suddiviso le varie attività trainanti, i Driver, assegnandone ognuno ad un piccolo gruppo. A me è toccato quello ittico con annessa la gita in barca. Con noi ci sono anche i colleghi destinati al comparto turistico. Gli altri, giostra e settore pirotecnico, infrastrutture, patrimonio culturale, polo universitario-cittadella dell’innovazione, sono rimasti sulla terraferma. E, per una volta, ci hanno anche un po’ invidiato.

La giornata brilla di sole e all’inizio ci lamentiamo un po’ per le giacche che ci hanno chiesto di portare. Più avanti, completamente circondati dalle acque e bagnati dagli spruzzi del barchino, non ci lamenteremo più.

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La barca dal fondo piatto scivola sulle acque poco profonde dei canali. Ogni tanto su una briccola si avvistano un airone cinerino o un cormorano. Il cielo è pieno di gabbiani. Vicino ai canneti nuotano le famigliole di anatre. Siamo nella Sacca di Scardovari, un lago di acqua salmastra che si apre sull’Adriatico. Tutto intorno il Po, diviso in cinque rami, forma un territorio giovanissimo, di 400 anni, nato con il Taglio da parte della Serenissima. Il corso del fiume fu deviato a sud per evitare che le sue acque riempissero la laguna di Venezia. C’è il Po Grande (di Venezia), da cui si diramano il Po di Goro, il Po di Gnocca (o della Donzella), il Po di Maestra e il Po delle Tolle.

Qua si coltivano ovunque vongole e cozze, Lo chiamano l’oro del Delta. Le cozze hanno ottenuto anche la Dop. Ma il nostro viaggio prevede una meta che ha dell’incredibile. Più avanti ci attende Alessio, che ha avviato addirittura una coltivazione di ostriche. La perla del Delta.

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La vista dell’impianto ci strappa nuove esclamazioni di sorpresa. Sembra un’installazione della Biennale d’arte di Venezia. E invece, appese a quei fili o racchiuse nelle retine, ci sono centinaia e centinaia di ostriche. Un piccolo apparecchio eolico e uno fotovoltaico fanno muovere tutti quei fili riproducendo l’andamento delle maree. I molluschi vengono immersi e fatti emergere dalle acque secondo ritmi ben precisi. La Normandia è più vicina al Polesine di quanto possiamo immaginare.

Alessio Greguoldo ha intrapreso questa attività da sei anni. Ci ha investito tanto, in macchinari e in saperi, cercando di carpire tutti i segreti dei produttori di ostriche francesi. Oggi, dopo le inevitabili perdite e gli errori iniziali, lo 0.1 per cento delle sue ostriche va proprio in Francia. Il resto, rimane in Italia, distribuito nei ristoranti stellati.

Qualche numero: l’impianto è dotato di 1440 corde. Ogni filo ospita 90 ostriche che i grossisti vendono a 5 euro al pezzo. Alessio ha 5 dipendenti. Prevede di ampliare il capanno dove lavorano i molluschi (ogni ostrica passa dalle mani dell’uomo almeno 7 volte) e di realizzare 4 o 5 nuovi impianti entro il prossimo anno.

L’acqua salmastra della laguna ha già segnato un punto a suo favore. Qui – spiega Alessio – le ostriche completano la propria maturazione in 16 mesi, anziché nei 32 della Francia, perché qui l’acqua è più ricca. L’anno scorso dagli Scardovari uscivano mille ostriche a settimana. Oggi sono già tremila.

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Qualche fortunato assaggia alcune delle ostriche aperte da Alessio. Non servono parole. Bastano le espressioni sui loro visi.

Il tempo passa ed è tempo di tornare sulla terraferma. Il programma prevede una visita allo stabilimento New Sea di Rosolina, un’azienda di import export specializzata nella vendita all’ingrosso del pesce, con sessanta dipendenti e un listino di 400 prodotti fra fresco e lavorato. Indossiamo un camice celeste di carta e un cappellino, passiamo da un macchinario che ci disinfetta scarpe e mani et voilà, siamo dentro al magazzino. Lo spazio è enorme ma, essendo quasi alla fine della giornata, la maggior parte del pesce è stato già distribuito. Facciamo in tempo a gironzolare fra enormi pesci spada, casse di molluschi e crostacei, e pesci di tutti i tipi. Sulle pareti ci sono dei grossi cartelli con i nomi di varie nazioni. Il pesce arriva da tutto il mondo e per il mondo riparte, tre volte alla settimana. La metà del prodotto è distribuito in Italia, fra dettaglio e grande distribuzione. Il fatturato è di 30 milioni annui.

Finita la visita gettiamo il camice e ci teniamo il cappellino, insieme a un vago odore di pesce che ci accompagnerà per il resto della serata.

E’ ora di andare. Ma la giornata non è finita. Dopo un veloce passaggio in albergo, il Capital di Rovigo, è già ora di ripartire. Per la cena, stavolta, alla Trattoria Al Ponte, a Lusia, la trattoria del Polesine. E’ il momento di brindare con i nuovi amici e di rilassarsi un po’ dopo le corse della giornata.

Ma il lavoro non è finito. I tavoli infatti sono organizzati per Driver, così che possiamo cominciare a conoscerci fra colleghi e a organizzarci per la riunione della mattina dopo, quando produrremo le nostre idee per la promozione di questo sorprendente Polesine.

(2 – continua)

 

 

 

 

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un ultimo sforzo

Ecco, farò un ultimo sforzo, tanto le galline ormai sono già andate a letto. Sarei voluta andare a dormire anche io alle nove ma ho finito di lavorare un po’ più tardi. Allora mentre riscaldo una tazza di latte, la mia cena, vedo di scrivere ancora qualcosa, cioè il bello, della serata di ieri.
La sensazione che mi è rimasta addosso di tutto ciò che è successo ieri è quella di una cosa preziosa. Molto preziosa.
Un intreccio di valori, di luoghi, di persone, di cose, di cibi e profumi, senza una sola nota stonata.
Non la perfezione dei grandi eventi, organizzati a puntino, freddi e impersonali. No, direi più il gusto di una festa di famiglia in cui ognuno porta qualcosa di suo e l’insieme è quel che conta.
Confesso che, essendo la premiata, ho visto tutto quanto da un’ottica privilegiata. Ma l’atmosfera non l’ho creata certo io.

Cominciamo dal vestito. Il mio. Volevo essere elegante ma non formale, per cui, sul tailleur pantalone nero di morbido tessuto, ho messo su una maglia a righe orizzontali bianche e nere. Ovviamente, visto il posto, era una citazione. Il gondoliere. Spero si sia capito.
Stivaletti grigio antracite con tacco 5-6 e borsa grigia in vacchetta, una pochette media, diciamo, vendutami a forza dalla mary gallo che evidentemente temeva che mi portassi la pesantissima city bag gucci anche lì. E in effetti, siccome ogni volta che cambio la borsa mi gira la testa e non trovo più nulla era proprio ciò che volevo fare. Ma ho rinunciato, per un giorno.

Per arrivare a mazzorbo, nella laguna veneziana, isola mai vista né sentita prima, c’era la lancia privata, di bisol, quello del prosecco.
Lo stesso per tornare.
Alla cerimonia c’era un sacco di gente, credo un centinaio buono di persone visto che la saletta era strapiena.
Ci sono stati i discorsi ufficiali, quello sì, ma il cuore dell’iniziativa, di questo premio dedicato alla memoria di Paolo Rizzi, giornalista vecchio stampo del gazzettino e critico d’arte, l’ho sentito pulsante e sincero.

Era come se ci fosse un legame inevitabile fra quel posto e l’articolo che mi ha fatto vincere il premio. Fra la vita di Vich, ritmata dalla tradizione, e quell’aria senza spazio e senza tempo dell’isola sperduta nella laguna.
Un valore profondo che esiste di per sé e non ha alcun bisogno di esser detto.

Nella tenuta di bisol, che si chiama la venissa, c’è anche un ristorante. Fra l’altro la chef è una bellunese, paola budel, di santa giustina. C’è stato un piccolo buffet per tutti e una cena per pochi.
Alla cena sono state servite piccole cose, molto curate e originali. La chef dice che cambia menu anche ogni giorno, secondo quello che portano i contadini dagli orti e secondo il pescato.
Un uomo che volesse impressionare una donna con un gesto elegante e prezioso potrebbe regalarle una cena lì. A sorpresa.

Come inizio abbiamo avuto una minestra di cipolle e gamberetti con una specie di wafer salato. Poi un risotto allo zafferano appoggiato su una pennellata di cioccolato amarissimo e decorato con un ricciolo di ricotta. Un trancio di pesce con salsa e contorno di giuggiole e cimette di cavoli. Il dolce aveva la forma del creme caramel ma c’era anche del pan di spagna, delle nocciole, delle piccole decorazioni in cioccolato bianco e nero. Per finire dei biscottini, piccola pasticceria, canestrelli e cioccolato.
Tanto cioccolato, eh? Anche se potrebbe sembrare di no, era però una presenza discreta, non predominante.
E poi tre vini bianchi diversi, molto buoni, appena assaggiati però (almeno da me).
Una cena sobria ma raffinata, con il giusto numero di portate, e ingredienti semplici e genuini al tempo stesso.
Io l’ho trovata perfetta.

Delle persone preferirei non parlare perché corro il rischio di nominare questo e non farlo con quello. Ho trovato tutti gradevoli e ben inseriti in quel contesto.
Il mio co-premiato, virgilio boccardi, però lo cito perché lui è un mito.
Vorrei citare anche il giornalista che presentava leggendo brani di calvino, ma purtroppo non lo so.

Dopo la cerimonia, dove io ho raccontato come e perché ho scritto l’articolo su vich, le persone non mi mollavano più. Complimenti, strette di mano. Ma è stata anche l’occasione per scambiare considerazioni su un certo tipo di giornalismo, quello urlato, scandalistico, esagerato, che esalta sempre i fatti più cruenti e morbosi, e che evidentemente sta un po’ venendo a noia, e su quello che si vorrebbe cominciare a leggere, qualcosa di più creativo, magari.

E’ venuta anche una collega veneziana in pensione, apposta per vedere me. E mi ha riempito il cuore. Ho rivisto un redattore di un giornale con cui avevo collaborato tempo fa, e mi ha fatto tanto piacere anche questo.

E’ stata una giornata piena di grandi emozioni. Una cura, un risarcimento per tante cose brutte che ci sono state, per me, negli ultimi anni. L’ho vista anche così.

La conserverò nella memoria e nel cuore con l’attenzione che si riserva a un cucciolo indifeso, a un uccellino caduto dal nido, proteggendola come una cosa fragile ma di un valore infinito, per riviverla e portarla sempre con me.

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