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A pranzo con Luzi, ovvero un’occasione sprecata

Mi disse: “Quindi lei è di Colle Val d’Elsa, come il mio amico Romano Bilenchi”. 

Pensai che babbo era andato a casa sua, di Bilenchi, a Firenze, con mamma, poco tempo prima. Forse voleva chiedergli la prefazione del libro che stava per pubblicare. Andò anche Paola. Babbo la convinse dicendo che le avrebbe fatto conoscere una persona molto intelligente. Lei invece voleva stare a casa per rispondere alla lettera di un’amica francese. Trovarono un vecchio, malato o forse ipocondriaco, che si misurava la febbre di continuo e si lamentava di non avere più la soglia del dolore. Parlava solo dei suoi mali e dei libri pareva non importargli più. Poco dopo quell’incontro arrivò una sua lettera a casa. Diceva che non ce la faceva più a scrivere e così niente prefazione. Credo fosse l’anno del Gelo, l’ultimo che ha scritto.

Quel giorno al ristorante alle Logge, da Gianni, mi avevano fatta sedere accanto a Mario Luzi. A capotavola era andato Italo Dall’Orto perché Luzi non ci voleva stare. La mattina c’era stato un incontro in aula magna, in via Fieravecchia, e Dall’Orto aveva letto le sue poesie. Era l’anno del Battesimo dei nostri frammenti, un titolo che non si dimentica. 

“Superflua è quella grammatica./ La metafora è già./ Sei tu la metafora./ Lo è l’uomo/ e la sua maschera”.

Dall’Orto aveva una scuola di teatro a Firenze, mi dissero. Forse Anna mi suggerì di parlarci, di chiedergli qualcosa su quella mia idea, abbastanza vaga a dire il vero, di fare teatro. Forse lo feci. Forse lui mi disse vieni e vedi com’è. Ma mi disse anche che era una cosa di impegno e fatica. Tanta fatica. Forse non me la sentii. E accantonai anche quel sogno. Forse mi dissi che avrei preferito andare da Gassmann. 

Vittorio Gassman lo avevamo visto ai Rinnovati in Affabulazione di Pasolini, con il figlio Alessandro, che aveva forse vent’anni e i capelli tagliati corti, tutti ritti e ossigenati. Me ne innamorai disperatamente. Pasolini lo studiavamo a storia del cinema, con Lino Micciché, ma anche a storia del teatro con Sergio Micheli. Fu lui a portarci a vedere Affabulazione, che era uno dei testi del teatro di parola. 

Anna era la Panicali. Con lei avrei preparato la tesi di laurea. Forse era per questo che mi aveva invitato al pranzo con Luzi e mi aveva detto tu siedi qui accanto a lui. Forse a quel pranzo c’era anche un’altra studentessa, una di quelle serie, non come me. Poi c’era Gianni Scalia, naturalmente, titolare della cattedra di letteratura italiana. Sarebbe stato lui il relatore della tesi se non avesse dovuto lasciare l’università per la malattia. Facemmo in tempo però a decidere titolo e argomento, una cosa quasi sconosciuta di Pasolini, una sera seduti a un tavolino di un bar in piazza Maggiore a Bologna con Laura Betti vestita di viola. Ero là in visita a un’amica e quella sera assegnavano il premio Pasolini. Lo vinse un compagno di università, si chiamava Graziano, forse. Un ragazzo alto, magro, biondiccio che stava sempre sulle sue. Forse anche quella sera, quando gli feci i complimenti. Forse c’era anche lui a quel tavolo, da Gianni alle Logge. 

Allora, vediamo: Luzi, Dall’Orto, Panicali, Scalia, l’altra studentessa, io. Mi pare fosse un tavolo da otto. Forse c’era quel Graziano lì, o forse Romano Luperini o la Ginevra Bompiani.

Forse avevano aggiunto una sedia. Era il periodo d’oro di Gianni alle Logge, che era amico della Nannini che si fermava spesso nel ristorante dietro alla curva di San Martino. Lei aveva un appartamento poco più in là, nel Porrione. Da lui si mangiava anche la carne alla tedesca. Mi pare che fosse la moglie, la cuoca, che era tedesca. Nel maiale arrosto ci metteva la marmellata di mirtilli o quella di lamponi.

Mario Luzi era magro e quasi trasparente. Si sarà chiesto perché gli avessero messo accanto quella ragazzetta chiacchierona dai capelli rossi. Sicuramente non perché ero di Colle Val d’Elsa, come il suo amico Romano Bilenchi.

Forse perché, se fossi stata più furba, o forse solo più studiosa, avrei potuto trarre qualcosa di importante da quell’incontro.

E invece nemmeno al corso di Italo Dall’Orto, andai. Nemmeno.  

Da sinistra: Mario Luzi, il secondo; Pasolini, l’ultimo.
(Foto presa in prestito dal blog ricordandoacaso.myblog.it)


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Libriamoci 2018 – Giorno n. 1 (la ragazza con il libro)

Se devo fare un bilancio di questa prima mattina a scuola, per me è positivo. Per dirlo mi basta l’immagine della ragazzina che ha afferrato il mio libro ed è uscita dall’aula stringendoselo al petto.

Lei è stata quella più veloce. Alle altre tre che nel frattempo si erano avvicinate alla cattedra ho detto di aver pazienza, che poi sarebbe toccato anche a loro.

Sono alla scuola media Leonardo da Vinci di Poggibonsi dove mi hanno invitato nell’ambito di Libriamoci, edizione 2018. In questa settimana (22-27 ottobre) in tutte le scuole d’Italia si organizzano incontri con autori e altre iniziative, nell’ottica di promuovere la cultura e la lettura fra gli studenti.

Ho chiesto ai ragazzini se leggessero libri. No, hanno detto tutti. Eccetto qualcuno.

Una situazione abbastanza desolante. Però qualcuno, o meglio qualcuna, che legge con passione e curiosità c’è.

Non conoscono nemmeno La Guerra di Piero di Fabrizio De André, la canzone di cui ho preso in prestito il titolo (aggiungendo la t di Pietro). Solo una ragazzina alza la mano. “La ascoltava mia sorella”.

Arrivo a scuola qualche minuto prima delle otto e mezzo. Mi accoglie la bidella che mi accompagna nella classe dove si terrà l’incontro. Sulla cattedra c’è un computer portatile collegato a uno schermo. Dobbiamo solo trovare il modo di collegarli. Per fortuna ho in borsa la chiavetta con le foto delle lettere e dei luoghi del libro, così posso far vedere anche qualche immagine.

Vedo che manca il microfono. Per puro caso mi è venuto in mente prima di partire di mettere in borsa l’amplificatorino da guida turistica che mi sono fatta regalare per il compleanno. Credo proprio che questa sia l’occasione giusta per inaugurarlo.

I ragazzi di una delle due classi che incontrerò stamani sono già seduti. Scambio due parole con la loro professoressa, mentre un’altra va in cerca di una stufetta. La sala è grande e illuminata da ampie vetrate. Peccato che per permettere di mostrare le immagini vengano tirate le tende.

Arriva anche l’altra classe, con i docenti, uno dei quali sistema i collegamenti del computer.

Si può cominciare. Mi presento e comincio a raccontare come è nata l’idea di scrivere il libro dopo il ritrovamento delle lettere scritte dallo zio Pietro. I ragazzi sono abbastanza attenti. Cerco di coinvolgerli facendo loro qualche domanda, anche banale (tipo: avete mai visto questa casa sulla strada per Colle?). Tenere desta la loro attenzione non è cosa da poco.

In generale sono abbastanza silenziosi. Ringrazio comunque il mio piccolo amplificatore.

Quando comincio a raccontare le vicende narrate nel libro, la storia di Tina, con lo scandalo e la cacciata di casa, li vedo più presenti.

Leggo qualche brano. Una lettera di Pietro in cui racconta alla sorella come vivevano in quegli anni di guerra, il suicidio di Alvara. Quando leggo l’episodio del barrocciaio che finisce sotto il ponte dell’Armi con il carro e delle donne che si precipitano a raccogliere polli, conigli e uova portandoseli a casa, sento addirittura qualche risata. In particolare nel punto che dice che nell’aria si sentivano solo le bestemmie dell’uomo, arrabbiato per aver perso tutta la roba che avrebbe dovuto vendere al mercato di Colle.

Nell’ultima parte dell’incontro i ragazzi sono un po’ stanchi e parlano fra sé. Cerco di attirare nuovamente la loro attenzione rivolgendo loro qualche domanda.

Ma voi li leggete i libri? No.

Ormai siamo vicini all’intervallo e l’attenzione è volata via.

Lascio in regalo una copia del libro e li saluto.

La mattina non mi pare sia andata sprecata.

(Avvertenza – in questo post si usano parole fuori tempo e fuori legge come scuola media e bidella. Con la speranza che nessuno si offenda, nel caso ciò dovesse accadere, ce ne scusiamo fin d’ora con gli interessati)

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