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Chi è Charlie? Obiettivo raggiunto

Sì,  direi proprio che l’obiettivo del concorso per blogger e giornalisti “Chi è Charlie?” è stato raggiunto

Quello che mi interessava era consegnare i miei quattro Charliehebdo comprati a Parigi a chi interessassero veramente
Per questo mi è venuta l’idea di stanare i possibili vincitori con un concorso di scrittura

È stato un contest un po’ così,  lanciato fra pochi intimi, con inviti un po’ pasticciati,  indirizzati anche a chi non interessava affatto (come sempre capita, peraltro)
Probabilmente sono rimasti fuori altri che avrebbero partecipato volentieri

Fatto sta che avrei potuto fare di meglio

La cosa però è stata interessante e sicuramente rappresenta un’occasione per un buon esercizio di scrittura e di riflessione

Allora ho pensato di trasformare un concorso occasionale in un appuntamento più o meno fisso

Troveremo altri argomenti e chiederemo interventi a chi ha voglia di scrivere e di mettersi in gioco

Al “Chi è Charlie?” sono arrivati in tutto sette articoli, uno anche fuori tempo massimo

Per me, anche se l’adesione è stata bassa, è stata però una bella soddisfazione

Per tanti motivi

Perché sono state scritte delle cose belle e interessanti

Perché hanno partecipato anche persone che scrivono raramente “in pubblico”

Perché chi ha scritto mi ha fatto una bella sorpresa in ogni caso

Perché si sono messe in contatto persone che prima non si conoscevano

Alla fine è stato un po’ come essersi trovati a cena a un grande tavolo, in undici, i sette concorrenti e i quattro della giuria, a parlare di un argomento che interessava tutti

E chissà che una volta o l’altra non ci troviamo davvero tutti intorno a un tavolo a bere, mangiare e discutere

La mia disorganizzazione oltre che negli inviti si è vista anche nella pubblicazione

Anche lì un bel caos fra i miei blog e la bacheca facebook

Prometto che cercherò di fare di meglio

Aprirò un blog apposito in cui inserirò i post di Charlie, anche i due finora non pubblicati se gli autori mi daranno l’ok,  e dove troveranno il loro spazio tutti i contributi del futuro

Sarà un blog, me lo auguro, in cui si leggeranno opinioni originali e qualificate sui fatti che accadono, sugli argomenti più interessanti e spinosi dell’attualità

Fatemi proposte, intervenite,  partecipate

Facciamone un laboratorio, un’officina del pensiero

Son sicura che ci divertiremo e ne verrà fuori anche qualcosa di buono

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chi è Charlie?

Chi è Charlie?
Ve lo siete chiesti quando avete visto il passaggio del corteo commemorativo, mentre a Parigi si cantava tra i lucciconi “Bella Ciao”?
Una strage è un dramma, sempre. E chi uccide è un criminale, sempre. Giusto? Per me sì, ma quando vedo quelle facce contrite che sfilano e che inneggiano al sacrosanto diritto di opinione, quasi all’offesa, e si abbracciano e si stringono l’un l’altro – parlo dei Capi di Stato – contriti ma fieri, commossi ma impassibili, vengo assalito dalle istamine rilasciate dal fegato e divento preda di un’allergia pruriginosa che il medico definisce: overdose di ipocrisia.
Li guardo alla Tv e li immagino, 5 minuti prima della strage. Magari erano al telefono a programmare nuove “missioni di pace”, ad acquistare nuovi droni per le “operazioni chirurgiche” in Paesi altrui. Magari stavano cercando un altro Saddam o un altro Osama da addestrare e da lanciare contro i dittatori di turno in terra islamica, per combattere quell’Isis che contro questi signori avevamo armato fino ai denti. Magari li hanno anche trovati in quei curdi che negli anni Ottanta erano buoni, poi sono diventati cattivi e da qualche tempo, d’improvviso, sono tornati buoni.
C’è strage e strage e poco importa degli atti ignominiosi che si riesce a far commettere in nome dell’equilibrio mondiale. Si può uccidere e morire da eroi o da criminali, confine sottile che abbiamo sempre la pretesa di stabilire noi.
Nel “dopo Charlie” la retorica dell’Occidente inneggia alla libertà di satira.
Avrei voluto vedere cosa avrebbero detto, prima della strage, di quella vignetta di Charlie con la Santissima Trinità che diventa un trenino porno, dove l’uno e trino si riassume in una catena di penetrazioni anali: il Padre è sodomizzato dal figlio che, a sua volta, riceve lo stesso omaggio dallo Spirito Santo. Chissà quanti difensori del diritto d’opinione troverei se domani pubblicassi una vignetta con la Merkel che pratica la fellatio a Hollande mentre si fa sodomizzare da Papa Bergoglio.
Fino alla strage, per noi, Charlie era sempre e solo… Charlie Brown. Presto tornerà ad essere l’unico Charlie del nostro immaginario collettivo.
David Taddei
Poggibonsi (Siena)

(menzione speciale della giuria al concorso “Chi è Charlie?”)

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la matita spezzata

Putin tiene in mano una matita. È spezzata. L’ha rotta durante il vertice dell’11 febbraio, un braccio di ferro estenuante tra le potenze mondiali che determinerà il prossimo futuro. Il primo piano del presidente russo con il volto teso e la matita rotta tra le mani, a mio parere, rappresenta questi primi due mesi difficili del 2015. La matita è tornata subito alla ribalta come simbolo della libertà di espressione.
Una libertà che di colpo abbiamo capito non essere illimitata e priva di conseguenze quando, il 7 gennaio scorso, la redazione dello Charlie Hebdo è stata trasformata in un mattatoio. Ma più passano i giorni, più la matita diventa la raffigurazione del problema di base: l’incapacità di comunicare, la travisazione di parole e intenti più o meno consapevole e voluta. Non comunicano mondo occidentale e islamico, Europa e Russia, America Europa e Russia e non ci si capisce nemmeno tra Stati europei.
Le incomprensioni e le divisioni diventano terreno fertile per chi ha interesse a fomentare guerre per vendere armi e impossessarsi dei beni altrui. La matita spezzata è diventata l’emblema del presente. È stata fatta a pezzi dai kalašnikov dei terroristi che hanno massacrato i vignettisti di Charlie Hebdo per gridare al mondo la divisione tra occidente e mondo islamico, ed è stata fatta a pezzi dalle mani dei uno degli uomini più potenti del pianeta, mentre l’Ucraina sanguina e Obama freme.
Se con gli attentati dell’11 settembre 2001 è stato colpito il cuore dell’economia mondiale, il 7 gennaio 2015 è stato violato il simbolo della libertà d’espressione in quella Francia in cui la parola “libertà” ha storicamente un significato molto profondo. A chi vuole riportare equilibrio e pace resta il duro compito di ricomporre queste matite azzeccando l’adesivo più adatto.
Martina Gris
Feltre (Belluno)

(primo premio ex aequo con 18/20 voti al concorso per blogger “Chi è Charlie?”)

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poniamoci delle domande

Commentando i fatti di Parigi di gennaio Moni Ovadia ha ricordato come il nazismo sia nato puntando il dito contro un popolo intero (Effe, 21 gennaio 2015, pag.14).
Un brivido mi percorre quando leggo queste parole e ripenso all’immagine che gira sui social network di musulmani con un cartello in mano: #not in my name.
Penso al mio amico musulmano: un ragazzo educato, che pratica fedelmente la sua spiritualità e dialoga sulla vita, cercando valori da condividere e non parole che allontanano. Gliel’ho chiesto cosa dice il Corano in merito alla violenza e lui mi ha risposto citandomene un verso: chi uccide un uomo uccide l’intera umanità.
L’ho visto con i miei occhi partecipare a incontro interreligioso, aspettare silenzioso la fine di una preghiera non sua, seguire rispettosamente sul libretto della liturgia che gli ho regalato, parole per lui estranee. Lui me l’ha spiegato: l’Islam non ha a che vedere con l’integralismo e l’omicidio; chi ci scivola è vittima della sua stessa ignoranza, incapace di cogliere il senso profondo del messaggio del profeta.
Ho letto una definizione della differenza tra idelogia e filosofia: la prima, statica, è spesso anticamera di fanatismo; la seconda, invece, comincia quando ci poniamo delle domande (Qualunque fiore tu sia sboccerai, Daisaku Ikeda e Lou Marinoff, Piemme, pag. 17). Infine ripenso a un vecchio film in cui Totò, a capo di un manipolo di soldati, si oppone a un generale nazista che gli ordina un massacro, con queste parole: “Sono un soldato, non un assassino”. Cristiani, musulmani, induisti, ebrei, buddisti… e tutti gli agnostici del mondo… poniamoci delle domande.

Barbara Amoroso
Colle Val d’Elsa (Siena)

(primo posto ex aequo con 18/20 voti al concorso per blogger “Chi è Charlie?”)

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siamo davvero tutti Charlie?

E un giorno ci siamo ritrovati tutti Charlie. Anzi, Sciarlì, alla francese. Anche quelli che l’unico rapporto che hanno avuto con la Francia risale a Berlino 2006, e insultavano Les Bleus, con i loro idoli in Italia, l’algerino Zidane o il senegalese Vieira. Ora tutti schierati, tutti francesi, tutti Charlie; pochi conoscevano Charlie Hebdo fino a quel giorno. Poi è diventato un simbolo. Di libertà. Di ribellione. Di fanatismo.
#jesuischarliehebdo campeggiava su tutti i profili social, pure su quelli di chi “Santoro fa il comunista in Rai con i soldi delle mie tasse” o “devono legnare i leghisti che fanno passeggiare i porci dove devono sorgere le moschee”. Tutti, improvvisamente, paladini della libertà di stampa, di satira.
Perchè non hanno mai visto le vignette, perchè qui per loro si tratta di difendere l’Occidente contro la violenza dei fanatici. Quanti, vedendo le vignette contro il Papa, contro il cristianesimo, avrebbero ancora la forza di dirsi Charlie? La libertà di satira è sacra…fino a quando non tocchi le mie convinzioni. Siamo tutti Charlie, ma noi non siamo i 12 morti. Non abbiamo scelto di mettere nel mirino tutti gli aspetti della vita degli altri: politica, sociale, religiosa. Non siamo neanche Ahmed: poliziotto e musulmano? In tempi di anti-Stato e anti-Islam è la scelta sbagliata. Siamo Charlie per non essere i fratelli Kouachi.
Ma loro hanno già vinto: ci siamo divisi, troppi Charlie non accettano le posizioni di chi, viste le vignette di critica all’occidente, non riesce a sentirsi Monsieur Hebdo. E’ in questo muro contro muro, nell’assenza di dialogo, che si insinua il fanatismo: islamico, cristiano, religioso, politico. Dobbiamo smettere di “essere” Charlie, dobbiamo “fare” Charlie. E’ troppo facile fare Charlie Hebdo con le matite degli altri.
Daniele Dalvit
Belluno

(secondo posto con 17/20 voti al concorso “Chi è Charlie?”)

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L’Orage sur Paris

September 11th… Seven-Seven… Due date, due giorni bui. Le Torri Gemelle. Le bombe di Londra. E alla lista purtroppo da quest’anno si aggiunge Sept Janvier, la tempesta su Charlie Hebdo, con il suo carico di terrore, contraddizioni, domande.
L’11 settembre e il 7 luglio ero a Londra. Vivendo lì per 14 anni, tra pezzi per Io Donna Corriere della Sera e D, La Repubblica delle donne, la mia nuova famiglia, la formazione per l’insegnamento, l’uscita del mio terzo libro , ho incontrato amici afghani e pakistani, un mondo di diversità e domande. E strade invase di polizia, tra noi consapevoli di essere ogni giorno nel mirino, in un luogo cruciale. Dall’IRA ai jihadisti, Londra conosce bene la violenza.
Ma Parigi non ce l’aspettavamo. Forse è la sintesi di tutto, della non-libertà di stampa, di contrasti sociali e culturali mai risolti, che, in Europa come altrove, possono essere portatori di guerra. Di violenza. Di intolleranza. Nodi che esistono ovunque, in Italia come in Germania, nel Regno Unito come in Francia, appunto. Nodi venuti al pettine il 7 gennaio. Drammaticamente. L’orage sur Paris. Una vignetta di troppo e qualcosa è scattato, cupo e ostile. A toglierci l’illusione che l’integrazione esista, che il dialogo stia portando a qualcosa. Così paghiamo l’ ottimismo prematuro, che ci faceva credere che le distanze potessero colmarsi da un giorno all’altro, che le differenze svanissero in un grande abbraccio fraterno. Che purtroppo ancora non c’è. Resta tanta, tanta strada da fare e la violenza non è mai, mai una risposta. Disoccupazione, diseguaglianze sociali, inquietudini, domande, intolleranza, contrasti, nervosismo. Charlie Hebdo ha pagato per tutti, provando che non siamo ancora pronti per un’ Europa davvero multiculturale. E’ un innegabile dato di fatto.
Annalisa Coppolaro
Murlo (Siena)

(secondo posto ex aequo con 17/20 voti al concorso “Chi è Charlie?”)

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