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Le distanze al tempo del Coronavirus

Dal dottore si entra solo su appuntamento. Nessuno può stare in sala d’attesa. “Aspetti fuori, che è meglio” dice un’infermiera dalle scale alla paziente. “Intendo in strada, – precisa -, tanto la chiamiamo noi”.
Per ritirare le ricette è stato allestito un piccolo tavolo sul ballatoio fra gli ingressi degli studi medici. Qui due infermiere, con camice monouso e mascherina sul volto, distribuiscono i preziosi foglietti allungandosi sulle scale. Nessuno sale, a meno che non sia atteso dal medico.
“Stop, si fermi lì” mi intima l’infermiera quando sto per raggiungere il pianerottolo di mezzo. Dice lo stesso a una donna che sale le scale dopo di me, ma quella continua fino ad arrivarmi alle spalle. “Ferma, le ho detto”. Ripete l’infermiera. La tipa sembra non capire. Mi giro. “Distanza!” le dico, allargando le braccia, alle volte non cogliesse appieno il concetto. Eppure mi pare di essere bersagliata di notizie e avvertimenti ovunque mi giri. Mi chiedo come sia possibile che ci sia qualcuno che ignora la situazione.
A me non sembra vero che ci sia addirittura una legge che impone alla gente di non starti appiccicata come un pappagallo da spalla. Peccato essere dovuti arrivare a tutto questo per ribadire concetti come il rispetto dello spazio altrui.
Per darmi la ricetta l’infermiera scende alcuni scalini e allunga il braccio. Lo allungo anche io, finché avviene il miracolo.
Me ne vado con la ricetta in mano.
In farmacia si entra uno per volta. Ingressi contingentati, dicono. Si attende fuori, all’aperto. In fila. “Chi è l’ultimo?”.
Non tutti lo chiedono e a me sembra di vedere anche in questa situazione il solito furbetto che facendo finta di non capire ti passa avanti. A me no di certo. Che con questi furbetti ho ormai ingaggiato da tempo la mia lotta personale.
No pasdaran.
“Bravi – dice un signore alto e magro con il volto coperto dalla mascherina – state così, distanti l’uno dall’altro e quando esce uno entrate uno per volta”.
“E quello chi è?” chiede a voce alta un’attempata signora bionda con un lungo cappotto azzurro di lana bouclé dal quale fuoriescono sgallettanti gale in tono.
La riconosco. E’ lei la furbetta che facendo finta di niente cercherà di passare avanti. Mentre ognuna delle persone occupa il suo posto in fila, a debita distanza l’una dall’altra, la bionda incappottata dondola, fa un passetto avanti, uno di lato. E’ chiaro che vuole conquistare una posizione che non le spetta. Niente di nuovo.
Arriva il mio turno. I farmacisti sono bardati come i ricercatori del Coronavirus in laboratorio. Fa un certo effetto. Sul bancone un nastro marrone segna la linea di demarcazione con i clienti.
Se fino a due settimane fa cercava di venderti trattamenti e medicamenti, spiegandoti nei dettagli i loro effetti miracolosi, oggi il farmacista vuole una cosa sola. Che tu esca il prima possibile.
“Non ha da pagare niente”, mi dice con tono frettoloso mentre prendo il portafoglio. “Veramente volevo chiederle se fossero già arrivati questi farmaci, altrimenti devo tornare domani”.
Controlla. “No, buonasera”.
Esco più velocemente che posso. Non appena mi giro vedo il cappotto azzurro bouclé che attinge al flacone di liquido disinfettante posizionato all’ingresso, come a una acquasantiera.
Non ce l’ha fatta a passare avanti a nessuno, credo, ma la soddisfazione di entrare prima del suo turno in ogni caso non se l’è fatta scappare.

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la schiavitù del telefonino

Ieri mattina ero in farmacia. Il farmacista mi stava servendo quando è entrato un tizio che aveva fretta, gli si è avvicinato e ha detto: “scusa, sai mica dirmi dov’è 012 benetton?”.
Il farmacista, molto scocciato, gli ha risposto: “ma io sto lavorando, come ti permetti? E’ qua davanti, da qualche parte. Ma chiedi a qualcun altro!”
Il tizio ha capito ed è uscito.
Il farmacista mi ha detto: “scusa, sai bene che io sono sempre disponibile. Ma queste cose non le sopporto. Primo, come si permette di avvicinarsi cosi’ mentre ti sto servendo, violando la tua privacy. Secondo, interrompi una persona che sta lavorando per chiedere un’informazione del genere… Io non ho parole”.
Io, invece, ero semplicemente AMMIRATA.
Il farmacista ha continuato: “pensa che qualcuno si offende perche’ mi telefona mentre sto servendo le persone e io gli dico ‘metti giu’ che ti richiamo appena ho finito’. Tu sai che io rispondo sempre, ma non posso far passare avanti uno solo perche’ e’ al telefono…”
DOPPIAMENTE AMMIRATA.
Se penso che io faccio la fila e aspetto anche se entro in un negozio o in un ufficio dove le persone stanno visibilmente cazzeggiando. Finche’ non hanno finito io non chiedo.
Si’ lo so sono una polla. Leggi gallina, femminile di pollo.
Cosi’ come mai mi sognerei di passare avanti agli altri al supermercato o altrove perche’ ho meno cose da far passare in cassa, o perche’ perdo l’autobus, o perche’ devo correre all’ospedale in fin di vita…
(Cioe’, una o due volte l’ho fatto al banco dei formaggi: posso avere una bottiglia di latte al volo, ecco qui i soldi… Ma credo di non aver disturbato poi molto. E comunque, alla fine, in un mondo di furbi, una o due volte anche io…)
Ma e’ invece un classico che, non appena il commerciante o il titolare dell’ufficio si occupa di me, arriva qualcuno che ha più fretta (cioe’ che e’ più maleducato) e interrompe “solo per fare una domanda”.
Devo dire che ho sempre trovato molto fastidiosa questa abitudine. Come ho sempre trovato ingiusto che il commerciante o titolare dell’ufficio si siano prodigati ad accontentare il rompi di turno senza preoccuparsi perche’ interrompevano quello che stavano facendo con me (e non perche’ lo stavano facendo con me ma per semplice rispetto al cliente di turno).

Un’altra cosa assurda dei nostri tempi e’ la schiavitu’ del telefonino.
Trovi un amico per strada, parli con una persona che incontri. Poi la vedi agitarsi, le squilla il cellulare e questa, presa come da un tremito, risponde e ti lascia li’. E magari pensa anche di farlo giustamente, santo cielo, le e’ suonato il telefono, vuoi non rispondere?
Io per educazione e buona creanza, a meno che non aspetti una telefonata importante, preferisco lasciar squillare (senza suono e solo vibrazione, of course) il mio, e continuare a parlare con la persona con cui stavo parlando.
Ma ormai per strada vedi solo persone al telefonino (e purtroppo mi ci metto anch’io, quando approfitto del tragitto da casa al lavoro per fare qualche telefonata privata).
Cosi’ pero’ a chiunque incontri puoi fare solo un rapido saluto muto, perche’ stai telefonando…
Spesso mi chiedo anche se e’ aumentata la nostra liberta’ o se il cellulare e’ solo un comodo paravento, una scusa ormai accettata per non incontrare l’altro. Per non parlare di persona che, si sa, mette in ballo qualcosa in più…
In tribunale, finita l’udienza, gli avvocati escono dall’aula con il cellulare d’ordinanza gia’ attaccato all’orecchio. Cosi’ magari evitano elegantemente (beh…) I giornalisti.
Vedo anche, specialmente tra i colleghi, quando la persona che chiamano al cellulare non risponde, dilagare angoscia, rabbia, nervosismo. “Ma perche’ questo non risponde? Allora che c… Ce l’ha a fare un cellulare?”
Per qualcuno il cellulare e’ il mezzo che supera ogni barriera, anche e soprattutto di rispetto, verso l’altro.
Tu avere cellulare? Io chiamare, tu rispondere.
Ovviamente quando hai un cellulare non vai in bagno, non riposi, non fai la tua vita. O meglio si’ si’ falla pure, basta che rispondi.
Io, personalmente, trovo meno invadenti gli sms, quando e’ possibile usarli.
Anche sul lavoro, se qualcuno non mi risponde, anziche’ trasformarmi nel suo incubo chiamando 50 volte al minuto, spedisco un sms con scritto chi sono e il motivo della mia chiamata. In genere funziona e mi richiamano.
Invece qualcuno pensa che a un cellulare si debba rispondere sempre, come se il telefonino ti dispensasse automaticamente da ogni altra necessita’.
Che poi alla fine, l’ho detto anche al farmacista, oggi siamo tutti riconoscibili. Tu mi chiami, io non ti rispondo perche’ magari sto facendo altro. Ma se tu non sei uno di quelli che nascondono il numero, io vedo che mi hai chiamato, per cui appena posso ti richiamo. A meno che proprio non voglia farlo… Allora mettiti l’animo in pace (o nascondi il numero, e spera…)

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