“Le è capitato di piangere mentre scriveva il suo libro?”.
“Oddio, può darsi. Sono una che si commuove facilmente. Però non posso dirlo con certezza. Perché mi fate questa domanda, a voi è venuto forse da piangere leggendolo?”.
La mattina numero due alla scuola media Leonardo da Vinci di Poggibonsi, nella quale sono stata invitata nell’ambito di Libriamoci 2018, trascorre fra le letture di brani scelti della Guerra di Pietro da parte di alcuni studenti e le domande di altri.
Quando ha deciso di scrivere il libro? Quanto tempo ci ha messo? I suoi parenti le hanno raccontato episodi dell’ultima guerra? Che effetto le hanno fatto?
Rispondo con una certa prolissità, mi pare. D’altra parte non mi sento molto bene, stamani sono stranamente stanca, mi stanno spuntando delle bolle pruriginose addosso (effetto di una qualche intolleranza a qualcosa che avrò mangiato, chissà) e il mio cervello mi sembra abbastanza rallentato.
Stavolta torno a casa con una pianta in vaso, una bella pianta con un fiore carnoso rosso al centro (dovrebbe chiamarsi guzmania, credo). Un regalo da parte di tutti i ragazzi e i docenti che ho incontrato in questi giorni. Sinceramente non me l’aspettavo. Mi sembrava già molto che mi avessero scelta e che avessero avuto l’interesse e anche la pazienza di ascoltare le mie storie.
I bambini leggono le loro frasi, sedendosi accanto a me, al microfono. Lascerei volentieri che fossero solo loro a parlare e a raccontarmi che cosa hanno provato e perché.
Quelli che ho incontrato il secondo e il terzo giorno di questa piccola avventura scolastica, La guerra di Piero di De André la conoscevano. “Ce l’ha fatta sentire il professore in classe”.
Perché il titolo del libro è come quello della canzone, mi ha chiesto una ragazzina, se parlano di cose differenti?
Dirò una banalità, ma con i ragazzi niente è scontato. La storia, le canzoni, i riferimenti.
Cronologicamente ci separano anni luce. Poi, per fortuna, ci sono aspetti della vita il cui valore non cambia con il passare del tempo.
Quando parlo di Tina e dell’ingiustizia che fu costretta a subire, alcune ragazzine scuotono la testa, partecipi e incredule.
Cosi come quando racconto la storia di Alvara che va a buttarsi sotto il treno tenendo il figlio di otto anni per mano. È allora che sento il silenzio aprirsi intorno a me, denso, vedo i loro occhi ben aperti, tutti concentrati nel non perdersi nemmeno una parola.
Forse è questo il punto che li ha fatti piangere, anche se, probabilmente, non lo ammetteranno mai.
Il bello di chi sa scrivere è riuscire a comunicare trasversalmente a tutte le generazioni. E mi pare tu abbia fatto centro
Paola te sei sempre troppo gentile, con me. Comunque apprezzo, molto