Finito il primo sono scattata di corsa per raggiungere il posto del secondo incontro pronta a fare un’altra lunga fila. Camminando per il centro sono stata agganciata da un ragazzo del Senegal che, nonostante le mie proteste, è riuscito ad appiopparmi un libretto sulla cucina africana.
E questo è stato il mio bottino al festival della letteratura di Pordenone.
Dopo aver sbagliato coda ed evento, per fortuna ci hanno chiuso la porta in faccia per esaurimento dei posti, ho finalmente trovato il padiglione di Maurizio De Giovanni, il creatore del commissario Ricciardi. (A proposito… ha anche un nome? Comunque sia ora non mi viene).
Io pensavo che, quando avessi incontrato De Giovanni, gli avrei voluto dire quanto mi fa incazzare quando gigioneggia con la penna riempiendo pagine e pagine di svolazzature partenopee e interrompendo (volutamente, ovvio) il ritmo della narrazione di quelle storie che ci piacciono tanto.
Ecco. Me ne sono dimenticata. Quell’omone là, la personificazione del napoletano che più ci piace, uno che sembra il fratello di Pino Daniele, mi ha fatto talmente ridere e divertire che non avrei potuto dirgli proprio nulla del genere.
Poi, a quanto pare, c’è già chi lo fa.
“A tutti i complimenti – ha detto -, a me i cazziatoni”.
Un giorno, ha raccontato, era al bancone di un bar, a Napoli, a bere un caffè quando una donna attraversò la sala puntandogli il dito contro: “Io glielo devo proprio dire (senza presentarsi, senza dire buongiorno io sono la tale e leggo i suoi libri, no) lei, se non la smette di trattare così quella povera Enrica non so che cosa le faccio. Ma le sembra il modo di comportarsi con una ragazza così dolce e timida?”. Quindi, senza aspettare risposta, se n’era tornata dall’amica. “Ecco, gliel’ho detto”.
Il commento del barista: “Un euro”.
De Giovanni: “No, sa… è che io scrivo romanzi…”
Il barista, irremovibile: “Un euro”
Questo aneddoto lo ha raccontato dopo che dal pubblico si era alzata una signora che gli aveva detto più o meno la stessa cosa.
“Io sono arrabbiata con lei. Ma li vuole far sposare quei due? Che cosa aspetta? Guardi che se Ricciardi non sposa Enrica io le auguro che i suoi racconti finiscano in serie zeta”.
Un’invettiva che ha generato anche un gesto scaramantico da parte dello scrittore.
“Eduardo De Filippo diceva: essere superstizioni è da ignoranti, ma non esserlo porta male”.
Appunto.
Ma insomma come è nato questo commissario Ricciardi? (ah ecco, Luigi Alfredo, si chiama, barone di Malomonte).
Allora in pratica siccome al De Giovanni piaceva stare sempre con quell’oggetto non identificato in mano, un libro, gli amici per fargli una sorta di scherzo, ma anche per incoraggiarlo chissà, gli regalarono l’iscrizione a un concorso che si teneva al Gambrinus di Napoli. In pratica gli iscritti dovevano scrivere un racconto nella sala del bar.
“Io non sapevo proprio che scrivere – racconta De Giovanni -. Me ne stavo lì, ad un tavolo vicino alla vetrata, e guardavo fuori. Tutti gli altri sapevano che cosa volevano scrivere. Io no. Il concorso era sponsorizzato dalla ribolla gialla. Passavano delle signorine con la minigonna e ci versavano il vino. Faceva un caldo pazzesco. Loro versavano, noi si beveva e si sudava. Alla vetrata c’era una bambina che da fuori guardava all’interno della sala. Lei mi guardava e io la guardavo. A un certo punto mi fece una boccaccia e se ne andò. Io mi guardai intorno pensando che gli altri l’avessero vista e pensassero che l’avevo infastidita in qualche modo. Invece niente, stavano tutti lì a scrivere e non l’aveva vista nessuno. Allora immaginai che quest’uomo vedesse qualcosa che nessuno vedeva. Vinsi il concorso“.
Ma non è finita qui.
“Quando mi mandarono l’email del vincitore risposi dicendo che avevano sbagliato l’invio. Ma invece mi dissero che era proprio per me. Poi ci fu la selezione nazionale e feci una nuova storia di Ricciardi. E vinsi di nuovo”.
Era il 2005.
“Ma io lo scrittore non lo volevo fare. Volevo fare il lettore”.
Fra risate e applausi De Giovanni analizza la solitudine del suo personaggio Ricciardi.
“Una solitudine data dalla compassione che lui prova per il genere umano ma resa ancor più forte, assoluta, dal fatto che lui, di questo ‘dono’, quello che considera la sua maledizione, non può parlarne con nessuno. Una solitudine disperata, la sua. Il segno dei nostri tempi è il telecomando. Noi cambiamo canale quando quello che vediamo non ci piace. Io volevo uno che non fosse in grado di evitare il dolore degli altri”.
Dell’evoluzione della storia fra Enrica e Luigi Alfredo niente si sa.
“Io quando scrivo un romanzo preparo la trama del fatto, quello che poi fanno i personaggi viene fuori da sé in un secondo momento. Non so dire che cosa accadrà. Dipende se Enrica deciderà di sposare l’uomo che ama o se invece privilegerà il sogno di una famiglia con dei bambini”.
Una anticipazione. “Le nuove storie del commissario Ricciardi si incentreranno su delle canzoni”.
Fino ad ora ci sono state le stagioni e le feste comandate. Ma già nell’ultimo libro, “Anime di vetro”, la storia ruota intorno a una canzone del cantautore napoletano Libero Bovio.
Alla fine un regalo per tutti.
Il primo capitolo, letto proprio da lui, del prossimo libro dei Bastardi di Pizzofalcone, “Cuccioli”, un’altra serie poliziesca nata in onore di Ed McBain, lo scrittore americano di origini italiane morto nel 2005 che considera il suo maestro.
Quindi, l’appello per Napoli. L’invito a non pensare, come ha fatto in questi giorni Rosy Bindi, che la criminalità organizzata sia una malattia incurabile in Campania.
“Abbiamo tremila anni di storia alle spalle, questa è solo quella degli ultimi 150 anni, nata fra l’altro a causa di un vuoto lasciato dallo Stato. Non possiamo misurare tutto in base a quella. E soprattutto, non è una malattia incurabile”.