Il regalo di Natale

Quando vivevo a Belluno, a un certo punto, cominciai a patire la mia condizione di toscana fuori regione. Stavo in Veneto e avrei voluto essere in Toscana, quando tornavo a casa in pochi giorni dovevo fare talmente tante cose fra le visite a più amici e parenti possibili che quando tornavo su mi sentivo quasi riavere.

Insomma, soffrivo di una sorta di schizofrenia geografica. In più, la situazione lavorativa molto pesante, anche dal punto di vista umano, mi portava ad idealizzare qualsiasi cosa al di fuori di quella provincia, ancor più se aveva l’acca aspirata.

In quel periodo cominciai a notare un’incredibile presenza toscana a Belluno, in special modo nei posti chiave delle istituzioni. Il presidente del tribunale era di Follonica, la presidente dell’Ordine degli Avvocati di Pistoia, il dirigente della Digos veniva da Figline Valdarno, il capitano dei Carabinieri di Cortina da Firenze. Poi avevamo un avvocato bellunese ma nato e cresciuto a Firenze, che aveva conservato con orgoglio la parlata toscana, un’altra avvocata fiorentina, sorella di un magistrato e zia del sindaco di Belluno. Il dirigente amministrativo della questura era di Siena. Poi c’ero io come giornalista di una testata e un collega di Livorno in quella concorrente. Non solo, a un certo punto scoprii anche che la mia anziana vicina di casa scrittrice di gialli per ragazzi, originaria dell’Umbria, aveva vissuto per quasi una vita a Siena. Poi c’era una coppia di medici pisani, un ex finanziere anch’egli di Pisa, un posturologo della Lucchesia, un informatore farmaceutico fiorentino, un artista, una lavoratrice della scuola di Piombino, il socio titolare di un bar del centro, che veniva da Grosseto, e la mia amica del cuore, nata a Belluno ma cresciuta a Lucca.

Con la mia passione per l’insiemistica decisi di raggruppare in un’associazione tutti i toscani che vivevano nel Bellunese. Venne fuori un bel gruppo. Ci ritrovavamo a cena per Natale, d’estate facevamo una festa all’aperto in montagna con la grigliata. Cucinavamo le nostre ricette, la ribollita, i crostini di fegatini. Una volta arrivarono dei tortelli maremmani direttamente da un pastificio di Grosseto. 

Il posturologo si offriva di fare le panzanelle, che scoprimmo essere pasta da pizza fritta, quelle che chiamiamo donzelle o zonzelle. 

Insomma a un certo punto si era più di sessanta. 

Un anno, uno degli anni orribili vissuti tra giornate di dieci ore minimo di lavoro serrato e continui mal di testa, per la cena di Natale dei toscani pensammo di fare un regalino a tutti i partecipanti. Una cosa piccola, giusto un pensierino. Ai tempi c’erano ancora i negozi tutto a un euro. Ce n’era uno anche in centro a Belluno. Con il mio amico barista, nonché segretario dell’associazione di cui io ero la presidente, andammo a cercare qualcosa.

Trovammo delle candeline rosse in piccoli contenitori dorati di varie forme, stella, conchiglia, albero di Natale. 

Alla cena furono consegnate come segnaposto ad ogni partecipante. Alla fine però ne avanzarono quasi dieci. 

Una sera, prima di partire per le vacanze in Toscana, mi ritrovai in redazione da sola per il turno di notte. 

In quel periodo il lavoro era particolarmente pesante e i rapporti con i colleghi molto dolorosi. Sembrava che una maledizione aleggiasse su quell’ufficio, distorcendo le intenzioni e i significati delle parole, complicando relazioni già difficili e appesantendo ancor più situazioni di per sé molto impegnative. 

Tutto questo mi faceva sentire triste e disperata perché io a quelle persone volevo bene. Ma questo non bastava a salvarmi dai malintesi né a rendere le mie giornate più serene. 

A un certo punto mi venne un’idea. Aprii il cassetto della scrivania dove avevo messo le candeline avanzate. Pensando al muro di incomprensioni e alle tante sofferenze inutili mi venne da piangere. Potevo anche evitare di rinchiudermi in bagno, come ero costretta a fare di solito, tanto in quella situazione non mi vedeva nessuno.

Con il sacchettino di carta in una mano e il sale delle lacrime sulle labbra, cominciai a girare da una scrivania all’altra, lasciando una candelina di Natale davanti a ogni computer. Fu una dichiarazione silenziosa ma piena di affetto.

A mezzanotte spensi le stampanti e i computer, girai la chiave nella porta e mi incamminai verso casa, pronta a partire la mattina dopo senza aver salutato nessuno. 

Qualche tempo dopo un collega indicandomi la candelina davanti al suo computer mi disse.

  • Di questa sai niente? È un mistero, ce le siamo ritrovate tutti e nessuno sa chi le abbia portate.

Io sorrisi ma non dissi nulla, nemmeno allora.          

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