Il 23 maggio 1981 mancavano ancora centocinquanta giorni al compimento dei miei diciotto anni. Nonostante questo, babbo e mamma mi dettero il permesso di andare da sola a un concerto rock a Firenze. Non ricordo perché mi ero tanto fissata con i Clash, che credo nemmeno conoscevo all’epoca. Probabilmente ne avevo sentito parlare da quelli più grandi in piazza. O forse il concerto era pubblicizzato su Radio Centofiori, che ascoltavo tutti i pomeriggi dopo la scuola.
In ogni caso, nella settimana precedente all’evento persi completamente l’appetito. Ero felicissima di fare questa esperienza e felice anche che i miei non me l’avessero negata. Però di fatto la mia gioia fu sopraffatta da un’emozione fortissima, difficilmente definibile, che mi impediva di mangiare. Avevo lo stomaco chiuso.
Al concerto sarei andata con il Bighe, un ragazzo di due anni più grande, del quale i miei si fidavano.
Il giorno fatidico, un sabato, partimmo da Colle sulla due cavalli verde del Bighe.
Non facemmo in tempo ad arrivare sul Ponte dell’Armi che il Bighe stoppò la macchina. Sul bordo della strada c’era un tizio con un giubbotto di pelle nera che faceva l’autostop.
Io non mi sarei mai fermata.
Il Bighe invece lo conosceva. Venne fuori che il tizio andava a Firenze al concerto dei Clash. Salì con noi. Si chiamava Pise.
Al concerto era stata riservata solo una curva dello stadio in Campo di Marte, dove diverse centinaia di scalmanati stavano tutti pigiati. Fu chiaro fin da subito che io, piccola com’ero, non avrei visto nulla se fossi rimasta con i piedi per terra. Non solo.
Avrei anche rischiato di rimanere schiacciata dalla folla che ondeggiava e saltava a un ritmo forsennato.
Il Bighe mi prese a cavalluccio. E lì, accucciata sulle sue spalle, rimasi per tutta la durata del concerto, mentre i fan tiravano sul palco lattine, bottigliette e chissà che.
Dopo quarant’anni si ricorda ancora la fatica di tenermi tutte quelle ore sulle spalle. Fortuna che lui era giovane e forte e io all’epoca pesavo solo quarantacinque chili.
Quel concerto comunque fu uno schianto.
Davanti ai miei occhi di liceale colligiana diciassettenne, si aprì all’improvviso un mondo di punk, di musica forte, sgangherata, di cantanti ruvidi e chitarre dal suono distorto.
Le prime note che sentimmo furono quelle del Buono il Brutto e il Cattivo, di Ennio Morricone. Poi esplose London Calling. Sul palco, dietro a Joe Strummer, Paul Simonon, Mick Jones e Nick Headon, scorrevano le immagini violente della rivoluzione sandinista, quella che in Nicaragua aveva destituito il presidente Anastasio Somoza.
Io non ne sapevo niente. Dopo il concerto però cominciai ad informarmi e a cercare di capirne di più.
Fu una serata piena di tante cose. Le ore passarono in un lampo, tra le immagini, la musica, i salti del pubblico. Io, al sicuro sulle spalle del Bighe, non rimasi schiacciata dalla folla e riuscii a non farmi colpire nemmeno da una lattina. Fu lui a dire il vero a scegliere di stare più dietro possibile.
Se ci fossimo avvicinati al palco sarebbe stato peggio.
Insomma, alla fine andò alla grande.
Anche perché poi come sarebbe dovuta andare? Eravamo giovani, negli anni Ottanta, e potevamo fare di tutto, bastava solo pensarlo.
Al ritorno il Pise era ancora con noi. Dalle cose che disse del concerto, capii che era uno che di musica ci capiva. E infatti venne fuori che suonava la chitarra ed era anche parecchio bravo.
Dopo il concerto e tutta quella gente strana, mi sembrò meno strano anche lui. E infatti da allora diventammo amici.
Del Bighe invece ricordo un altro episodio, sempre legato a un concerto, che avvenne parecchi anni dopo la serata dei Clash.
Quella volta eravamo a Certaldo, forse all’Ypsilon, dove c’era un concertaccio punk. A un tratto cominciarono tutti a pogare violentemente e io, che non me l’aspettavo, fui spintonata di brutto. Schizzai come un proiettile contro una cassa sotto al palco senza riuscire a fermarmi. Mi bloccò il Bighe, che chissà come era proprio su quella traiettoria.
Così mi salvò dalla violenza punk per la seconda volta.
Dopo il concerto di Firenze finalmente mi passò l’agitazione e ricominciai a mangiare. Credo che all’epoca però non mi rendessi nemmeno conto che avevo partecipato ad un evento storico, non solo per l’esibizione di un gruppo strabiliante, ma anche perché eravamo all’inizio di un’epoca fantastica di musica, concerti e tutto il resto.
Soprattutto, perché noi, chi più chi meno, avevamo tutti vent’anni.