Nei primi mesi del Duemila comprai la macchina dei miei sogni. Era una cabrio rossa, con tettuccio nero e fari a palpebra, usata. Avevo trovato questa occasione grazie alla segnalazione di un’amica.
In quel periodo però il lavoro vacillava e non avevo i soldi sufficienti. Mamma si rifiutò di prestarmeli, per lei si trattava di un acquisto del tutto inutile.
Babbo invece disse, ti aiuto io; ti capisco, avrei sempre voluto una macchinina così.
Così portai a casa la Mazda Mx5 1800 rossa fiammante e mentre babbo la guardava ammirato perdendosi nelle rifiniture, mamma sbraitava contro una figlia che viveva al di sopra delle sue possibilità.
Quando andai dal rivenditore a concludere l’acquisto non la finiva più di congratularsi.
- Ora però la deve provare.
Io ero pietrificata. Era una macchina troppo bella per guidarla, avrei quasi preferito farmela trasportare fino a casa per avere tutto il tempo di conoscerla e imparare a guidarla.
Il signore prese le chiavi e si mise dietro al volante. Io, in preda all’emozione, mi sedetti al suo fianco.
Partì.
La concessionaria era già vicina alla campagna. Non ci volle niente ad infilarsi nelle strade secondarie che passavano in mezzo a campi e boschi. La giornata era bella, da poco si era in primavera e l’aria frizzava in mezzo alla natura nel pieno del risveglio.
Era bellissimo sentire il vento che scompigliava i capelli.
Il tizio però guidava sempre più forte e io morivo dalla paura.
- Va bene, va bene, ho visto. Ora rientriamo per favore.
- Voglio insegnarle la guida sportiva. Una macchina così non si guida come tutte le altre. Vede? In curva si accelera. Sente come stanno attaccate alla strada le gomme? Questa macchina è un compasso.
E intanto accelerava e accelerava. E io sudavo freddo, anzi ghiacciato.
Può darsi che alla fine abbia accettato di guidare un po’ anch’io, ma sinceramente non credo, da come mi tremavano le gambe. Di sicuro però per tornare a casa dovetti mettermi dietro al volante.
Durante l’estate andai a lavorare a Pordenone. In macchina c’entrava poca roba, per cui dovetti spedirmi scatoloni di vestiti per posta.
La tipa con cui coabitai per pochi mesi sembrava un po’ scocciata dalla mia macchina e non voleva darmi soddisfazione.
- Non è mica la prima volta che vedo una cabrio, sai. Un amico ha la Golf scoperta e ci sono salita un sacco di volte.
Io facevo finta di niente e la scarrozzavo di qua e di là. Finché cominciò a trovare la scusa del mal di testa.
Poi capitò che al giornale mi dessero un intero weekend di festa e io, per non dover passare tutto il tempo con lei, andai alle terme di Montegrotto. Una mattina, uscendo dal posteggio, sentii un gran botto. Scesi subito per controllare se avevo sbattuto contro qualcosa, ma la parte posteriore della macchina era perfetta. Mi accorsi dopo che, facendo retromarcia, avevo sbattuto la parte anteriore destra contro un pilone. Un vero disastro.
Per fortuna di lì a poco sarei tornata a casa e avrei fatto rimettere a posto la carrozzeria. Nel frattempo feci di tutto perché la coinquilina non si accorgesse del danno, tanto per toglierle una possibilità di gioire sulle mie disgrazie.
Nel periodo della Mazda, grazie sempre alla stessa amica, ci fu anche l’innamoramento con Gastone.
Un giorno mi chiamò, mentre faceva la volontaria al canile e mi disse che da loro c’era un setter irlandese bellissimo.
- Devi venire a vederlo.
A casa avevamo già Vanessa, della stessa razza, per cui cominciai a cullare l’idea di prendere anche lui. Ipotesi alla quale mamma si oppose fermamente.
Gastone però cominciò a venire a casa ogni tanto. Lo facevo sistemare sul sedile del passeggero della Mazda e poi partivo, pregando dentro di me di non incontrare vigili carabinieri e simili e sperando che rimanesse giù accucciato senza alzare la testa.
Ci andò sempre bene.
Alla fine Gastone rimase a casa nostra e mamma ebbe da ridire per anche per il cane, oltre che per il fatto che io continuavo a vivere al di sopra delle mie possibilità.
Anche su questo facevo finta di nulla, salvo riderci con gli amici che mi prendevano in giro ripetendo la frase di mamma per scherzarci un po’ su.
Una volta con una collega partimmo da Firenze con la Mazda alla volta dei colli del Prosecco per organizzare un evento giornalistico. Lei era convinta che non ci saremmo mai entrate in due con i bagagli. Ma io legai il mio trolley al portapacchi fissato dietro e infilai la sua valigia nel bagagliaio. Rimaneva da sistemare la sua pelliccia, che rincantucciammo dietro i sedili.
Alla fine andò tutto bene anche quella volta.
Poi purtroppo arrivò il momento di dare via quella meraviglia di macchina. Già stando a casa mi era diventato abbastanza complicato gestire il trasporto di due cani grandi e ogni volta che andavamo dal veterinario dovevo chiedere in prestito la macchina a babbo o a mamma.
Poi capitò che dovessi trasferirmi a Belluno per lavoro. A quel punto dovetti farmi forza e rinunciare alla cabrio a favore di una monovolume.
Prima di vendere la Mazda la mia amica Gigliola mi chiese se ci si facevano le foto insieme.
Babbo fu ben lieto di farcele. E per fortuna, visto che oggi rappresentano un bel ricordo, utile anche per stemperare il rimpianto.