La pizza gigante di Giacomino

Quando andavamo al mare a Punta Ala, da piccine, due erano i momenti in cui si alzava il livello di felicità. Quando andavamo a Follonica e tornavamo con un mega vassoio di pizza al taglio e quando mangiavamo la pizza da Giacomino, a Castiglion della Pescaia, dopo aver comprato il pesce fresco al porto.

Punta Ala è a metà strada. Quando siamo al bivio con i grandi pini, se si gira a sinistra in dieci minuti si arriva a Follonica, a destra più o meno alla stessa distanza c’è Castiglioni.

La botteghina della pizza al taglio non aveva niente di speciale. Un bancone con la vetrina trasparente dietro alla quale il pizzaiolo scaricava le teglie con i diversi condimenti e la commessa velocemente le suddivideva in rettangoli di uguale dimensione. 

La pizza però era buonissima. Margherita, cipolle olive e tonno, patate e rosmarino, frutti di mare. Ogni volta volevamo prendere tutti i gusti che c’erano e non ci bastava mai.

La signora metteva i tagli su un grande vassoio di carta che poi avvolgeva con la carta plastificata. Lo portavamo via che era così tanto bollente che quando arrivavamo in campeggio la pizza era ancora calda.

Da Giacomino era tutto un altro discorso. La pizza si mangiava li, seduti al tavolo, nella grande sala con le pareti ricoperte di perlinato scuro e i tavolini in legno con le tovaglie a quadrettini bianchi e rossi come le trattorie italiane a Little Italy, New York.

Giacomino era un omino tondo di testa e di corpo, con l’espressione sempre accigliata. Stava tra la sala e la cucina, in piedi, con un grembiule annodato in vita, e come un vigile urbano dirigeva il traffico delle pizze. 

I camerieri correvano veloci con gli enormi piattoni delle pizze sulle braccia e li depositavano davanti al cliente giusto, sotto lo sguardo severo di Giacomino, senza sbagliare un colpo.

Giacomino era famoso per le pizze giganti e per la quattro stagioni divisa in quattro parti da un filo di pasta. Ogni quarto aveva il suo condimento distinto dagli altri tre. 

La pizza di Giacomino era finissima e croccante. La Margherita profumava di basilico. 

Io e Paola vivevamo nel sogno della pizza gigante ma babbo e mamma ci facevano prendere sempre quella normale, perché eravamo piccole e non saremmo mai riuscite a finirne una così grande. 

Ma alla fine giunse anche per noi il momento e ci ritrovammo ad aggredire quella pizza oceanica con coltello e forchetta, animate non solo dal gusto di quella delizia, ma anche dall’orgoglio di voler dimostrare che eravamo grandi anche noi, tanto grandi ormai da poter mangiare una pizza gigante da Giacomino. 

Un undici settembre di una decina di anni fa o giù di lì mi sono ritrovata a passare dal porto di Castiglioni e mi è venuta voglia di vedere se c’era sempre la pizzeria da Giacomino. Era sempre lì, sulla destra del porto, un po’ sfilata verso la passeggiata a mare. 

Non ho resistito. Sono entrata e mi sono seduta a un tavolo. 

Non riconoscevo niente, in tutto quel bianco, con le vetrate a mare. Il posto che da piccola mi pareva immenso, si era ristretto a una normale sala di ristorante. Era cambiato tutto, i tavoli, i colori. Non c’era più nemmeno Giacomino, col suo grembiule, a dirigere il traffico delle pizze.

Ho chiesto un antipasto e un primo di pesce. Mentre alla TV scorrevano le immagini per l’anniversario delle torri gemelle, ho ricevuto la telefonata di un collega. Mi informava che un amico comune, vittima di un incidente qualche mese prima, stentava a riprendersi e probabilmente c’era poco da sperare. 

In realtà anche se la sua storia è finita troppo presto e niente affatto bene, avrebbe avuto ancora diversi anni davanti a sé. 

Oggi la pizzeria da Giacomino la ricordo quasi più per quella brutta storia che per la sua fantastica pizza.

Segno che in certi ricordi del passato è sempre meglio non andare a mettere le mani. 

Foto di Igor Ovsyannykov da Pixabay

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