La casa dei nonni

Il colore della casa dei nonni era il verdino e il giallino dei mobili alla veneziana della camera dove dormivo io. A casa di nonna si dormiva bene, c’era un silenzio buono, anche se la finestra dava sulla strada. La mia sveglia era il giornale radio che nonno ascoltava tutte le mattine mentre si faceva la barba con schiuma e pennello. 

C’era anche tanta luce. Il comodino accanto al mio letto era foderato all’interno da un mosaico di specchietti e quando aprivi lo sportellino era tutto uno sbrilluccichio.

In quella stanza nonna teneva i lavori, tovaglie e lenzuola di lino o cotone che dava da ricamare a certe donne.

Per entrare nelle grazie di nonna bisognava avere un certo garbino. Essere precise, puntuali, lavorare di fino e non tirare via. Il ricamo non mente.

Chi aveva quel garbino poteva contare sempre su nuovi lavori. Altrimenti c’era poco da fare.

Io quel garbino non ce l’avevo e infatti lavoravo ai ferri. Nonna insisteva per insegnarmi l’uncinetto ma io non ne volevo sapere.

  • Fammi vedere come tieni in mano l’aghetto, diceva, prima di disperarsi.

Quando c’ero io a pranzo si mangiava il coniglio in umido e le patate arrosto. Non volevo nient’altro. 

Con la famiglia riunita invece nonna il coniglio lo faceva in dolce e forte, con il cioccolato e i pinoli. Per me era un tradimento e non l’ho nemmeno mai voluto assaggiare.

Nello stanzino subito a destra rispetto alla porta d’ingresso c’era la dispensa, un antro scuro pieno di scaffali coperti da barattoli misteriosi. In un grosso recipiente di vetro con il tappo a chiusura ermetica c’era un miele chiaro e pastoso, che si grattava con il cucchiaino. Lo portava direttamente un apicoltore ed era considerato una cosa preziosa da maneggiare con cura. Per mangiarlo ci voleva il permesso di nonno, ma mai più di un cucchiaio alla volta.

Il prosciutto e il salame si “partivano”, che voleva dire tagliare. 

  • Chi la parte una fetta di salame?
  • Prendi il prosciutto, è stato appena partito.

I barattoli si marimettevano (si aprivano per la prima volta) o si principiavano. 

  • Prendi la marmellata già marimessa.
  • Il sugo è stato bell’e principiato.

Sopra all’acquaio era appesa una sacchettina di cotone bianco lavorato all’uncinetto dove nonna faceva scolare l’insalata. A un chiodo della parete era invece attaccato il battimosche, una lunga paletta con manico di metallo e testa di gomma traforata con cui nonna abbatteva gli insetti senza alcuna pietà.

Per prendere l’acqua si apriva la cannella dell’acquaio e le cose cascavano per terra, dove si dava il cencio. Se nella pasta non c’era abbastanza sale si diceva che era sciocca.

Nonno ci teneva che io diventassi una brava pittrice, nonostante non avessi mai manifestato alcuna dote per il disegno. Mi diceva, fai quel panorama. E io copiavo dalla finestra la distesa dei campi, il grande ippocastano sulla sinistra, il ruderino all’orizzonte. 

  • O fammi vedere come li colori…

Poi si arrabbiava perché i campi erano verdi, il cielo azzurro e il rudere marrone.

  • Un artista dipinge le cose come le vede lui, diverse da come appaiono a tutti. Il cielo può essere anche rosa, i campi azzurri.

Ma non ero un’artista e non riuscivo a immaginare un campo con l’erba rosa o celeste.

A casa dei nonni però c’era una cosa meravigliosa, il grande libro degli animali. Non mi stancavo mai di chiedere a nonna di guardarlo insieme, una pagina dopo l’altra, e ogni volta era una festa.

I miei animali preferiti erano Gianni, il barbagianni, e i pinguini che si tenevano per mano.

Quando si arrivava a quella pagina impazzivo di felicità e volevo anche io prendere tutti per mano come facevano loro.

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