I Mondiali dell’82

L’11 luglio del 1982 invitai alcune amiche del liceo a vedere la finale del mondiale. Mamma e babbo erano andati a vederla dai nostri nuovi vicini e avevamo la casa tutta per noi. Ci eravamo trasferiti in campagna da pochi mesi e io ero nel pieno dell’esame di maturità. Fatti gli scritti, aspettavo l’orale, il 18 luglio. La mattina dopo il concerto dei Rolling Stones a Napoli. 

Con le amiche avevamo deciso di fare pizza e birra. Non ricordo perché ma a cena arrivarono anche due ragazzi di Poggibonsi. Guardammo la partita mentre mangiavamo seduti al tavolone del salotto. 

Nel pomeriggio i Rolling avevano suonato a Torino e Mick Jagger, il mio Mick Jagger, quello che campeggiava in un manifesto in bianco e nero a tutta parete nella mia cameretta minuscola, avvolto in una bandiera tricolore aveva gridato al pubblico che avremmo vinto 3 a 1. 

Incredibilmente la partita con la Germania Ovest finì proprio così, anche se in quel momento non era la cosa più importante. Importava urlare come pazze ad ogni gol, ad ognuno un po’ di più e alla fine gioire per la vittoria, che anche se il calcio non lo segui sempre, quando vinci un mondiale la festa la fai eccome. 

Allora non sapevamo che stavamo vivendo un pezzo di storia, un momento che nessuno avrebbe dimenticato mai più. I gol di Rossi, Tardelli e Altobelli, il presidente Pertini che esulta dagli spalti. L’urlo di Tardelli. Nando Martellini e il suo Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo.

Urlammo, cantammo e ballammo, felici ed eccitate per questa nostra serata da grandi.

I due ragazzi a un certo punto andarono sull’aia e cominciarono a discutere in modo piuttosto acceso. Non so se avevano bevuto un po’ troppo, forse avevano iniziato già prima di venire da noi. In ogni caso la discussione andò peggiorando finché uno dei due afferrò dal muretto dei vasi di terracotta pieni dei fiori di Loriana e li gettò addosso all’altro. I vasi caddero a terra, spaccandosi, con i fiori sparpagliati dappertutto.

E così anche questa festa era andata in vacca. Lì per lì, non fui in grado di prevedere il dramma che si sarebbe scatenato in casa. Pensai che si sarebbero comprati dei nuovi vasi, avremmo recuperato la terra e i fiori e tutto sarebbe tornato a posto.

Non fu così.

Mamma diventò una furia. 

Io non sapevo come affrontare la situazione. D’altra parte che cosa avevo fatto di male? Erano stati quelli là. Che ci potevo fare? 

Mi chiusi in camera a chiave e mi rifiutai di mangiare per due giorni, autoinfliggendomi una punizione che non mi avrebbe dato nessun altro.

Di là dalla porta mamma insisteva. 

  • Chi è stato? Ho il diritto di sapere chi è stato.

Alla fine le dissi i nomi dei due, pensando che sarebbe finita lì.  

Ma neanche per idea. Lei si armò di elenco telefonico e individuò il nome della famiglia del lanciatore, numero e indirizzo. E ci andò.

Quando tornò a casa sembrava che andasse un po’ meglio. Aveva parlato con il fratello maggiore che si era scusato e l’aveva tranquillizzata. Credo che le avesse offerto anche un risarcimento, che lei rifiutò. Non era una questione di soldi. Era il gesto, inutile e incomprensibile, che l’aveva ferita. Niente poteva offenderla di più che colpire i suoi amati fiori.

Ho scoperto però che l’affronto non è passato con gli anni. E ho capito che dovrò smettere di ricordarglielo, quell’episodio, visto che la fa star male ancora oggi.

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