Quando ero alle medie un giorno la prof di italiano ci portò in gita a San Gimignano. Avremmo incontrato il sindaco che ci avrebbe ospitato nella sala del consiglio comunale insieme a qualche consigliere. Ci eravamo ben preparati, con le domande e tutto il resto.
Io ero una tra quelle che avrebbe posto una domanda.
Nei giorni precedenti ero agitatissima e terrorizzata dalla paura di sbagliare.
Poi, quando fummo nell’antico palazzo comunale, nella sala con gli scranni in legno scuro, e mi alzai per parlare, fui invasa per la prima volta da una sensazione dolcissima e inebriante. Ero in piedi, davanti a tutte quelle persone, che mi ascoltavano e rispondevano alla mia domanda.
Avevo un potere.
Anche se non capivo proprio bene che cosa significasse tutto ciò, mi sentivo forte e felice.
Adrenalinica.
Se era così facile, anche per una bambina come me, alzarsi e parlare davanti a un sindaco, a dei consiglieri, degli adulti, e mica di sciocchezze ma di cose importanti per la città e la sua vita sociale, allora avrei potuto fare veramente tutto.
Ero convinta che, dopo quella scoperta, la mia vita sarebbe completamente cambiata.
Dopo la mattina in Comune, andammo a pranzo e quindi a visitare un museo.
Alla fine del giro ci fermammo a parlare a gruppetti mentre aspettavamo gli altri per poter andare via.
Io ero con altri tre compagni, tra cui il ragazzino che mi piaceva.
La giornata era stata bellissima e noi eravamo rilassati, ridevamo e scherzavamo.
Tutto d’un tratto entrò un tipo di corsa e ci disse di restare tutti fermi là dove eravamo.
In quel momento esatto, al centro del nostro capannello volò un rotolo di soldi cadendo a terra, ai nostri piedi.
Il tizio parlava a voce alta. Era molto arrabbiato.
Sosteneva che qualcuno di noi avesse rubato l’incasso della giornata e disse che nessuno sarebbe uscito di lì finché i soldi non fossero venuti fuori.
Ora i soldi c’erano, ma erano vicini ai miei piedi ed erano usciti dal mio gruppetto.
Non sapevo che cosa pensare.
Non avevo visto chi li avesse gettati, ma poteva essere stato uno dei compagni con cui stavo parlando.
Era stato il ragazzo che mi piaceva?
No, disse lui, io non c’entro nulla, ero qui a parlare con te.
La prof era furiosa. Intimò al responsabile del gesto di farsi avanti. Non bastava aver gettato i soldi a terra. Occorreva assumersi la responsabilità del proprio gesto, altrimenti avrebbe pagato tutta la classe.
Ma come? Avevo appena toccato il cielo con un dito e subito dopo finivo accusata del furto di una manciata di lire insieme ai miei compagni?
Non ci potevo credere. Era un’assurdità. E un’ingiustizia.
Alla fine il responsabile confessò. Disse che aveva visto la teca aperta con i soldi a portata di mano e non aveva saputo resistere. Il custode li stava contando a fine giornata e si era allontanato un attimo per fare qualcosa.
Dal momento che il maltolto era stato restituito e il colpevole individuato, fu deciso di chiudere lì la questione. L’uomo non avrebbe sporto denuncia.
Poteva sembrare che fosse tutto finito bene.
Invece no. Tornammo a casa tristi e carichi di vergogna per una cosa che non avremmo neppure saputo immaginare.
Io in particolare, piccola com’ero, scoprii a mie spese quanto è fragile la gloria e quanto basta poco per distruggere in un attimo anche le cose più belle.