Una sera di tanti anni fa, con due amiche, andai a cena a Radicondoli, da un’altra amica che allora aveva un ristorante.
Andammo con la mia macchina, che all’epoca era la Fiat 500 rossa che mi aveva regalato babbo, quella con i coprisedili a disegni colorati stile Keith Haring. Già all’andata era buio e, sia per la strada piena di curve e costeggiata dal bosco, sia per il traffico scarso, tenevo gli abbaglianti. Per fortuna.
A un tratto fu come se esplodesse un flash. Sulla destra i fari illuminarono una massa chiara che sembrava volare verso di noi. Sterzai tutto a sinistra e frenai.
Urlammo tutte.
Sentii un piccolo colpo, come il rimbalzo di un pallone, sempre sulla destra.
Era un capriolo.
Dopo essere rimbalzato sulla portiera della macchina, cadde a terra, agitando le zampette sottili. Ma si rialzò subito e fuggì nel bosco da dove era venuto.
Noi ci ritrovammo da sole, in mezzo a una strada deserta, nel buio, a chiederci che cosa fare. Per fortuna già esistevano i telefoni cellulari. Chiamai la mia amica e le dissi che cosa era successo. Disse che avrebbe avvisato la forestale che sicuramente avrebbe fatto un sopralluogo per controllare se l’animale fosse ferito. Intanto potevamo rimetterci in marcia.
- Io veramente volevo cercare il capriolo. Pensavo di caricarlo dietro, così potevamo vedere subito se gli era successo qualcosa.
- Ma sei pazza? Disse la mia amica.
Controllammo la macchina. C’era solo una piccola infossatura sullo sportello. Quasi non si vedeva. Ripartimmo, un po’ scosse.
Ancora non mi ero trasferita nel capoluogo montano di una provincia montana, per cui le mie conoscenze in fatto di fauna selvatica al tempo erano condizionate dai ricordi dei dolci animaletti parlanti, gufi, aquile e cerbiatti, dei cartoni Disney.
Cominciai forse in quell’occasione a capire, per quanto oscuramente, che non era affatto così e che il nostro mondo civilizzato, compresi boschi e campagne, era separato nettamente da quello selvatico e che l’unico modo per aiutare questa fauna era di cercare di averci a che fare direttamente il meno possibile. Figurarsi pensare di caricare un capriolo vivo in auto.
- Bevete qualcosa? Disse la mia amica quando arrivammo al ristorante.
- Io qualcosa di forte.
Non mi era mai successo prima. Qualcosa di forte, un cognac (non bevo superalcolici), mi serviva come scossa per ammortizzare l’altra scossa ben più forte dell’investimento del capriolo.
Non è successo mai più.
Comunque funzionò.
Continuai a preoccuparmi per la sorte del capriolo. Nei giorni successivi, mi disse la mia amica, i forestali avevano girato il bosco vicino a dove c’era stato il piccolo incidente e non avevano trovato niente.
Sicuramente, dissero, l’animale stava bene e si era allontanato per tornare alla sua vita selvatica.
Ringrazai la natura o chi per lei che aveva creato animali tanto graziosi e allo stesso tempo tanto resistenti.
Qualche giorno fa è capitato di riparlare con la mia amica proprio di questo fatto.
- Sicuramente è morto qualche giorno dopo – ha detto del capriolo -. Ho saputo che quando prendono una botta non si ripigliano più.
Un’altra piccola illusione crollata.