Quando lavoravo al giornale a Siena tornavo a casa sempre molto tardi. Una sera, saranno state le dieci e mezzo, ero già uscita dall’Autopalio quando una macchina mi si incollò dietro sparandomi addosso gli abbaglianti. Rallentai per farmi sorpassare, ma una volta davanti cominciò a rallentare anche lei. Così fu per me la volta di abbagliare e stare incollata dietro.
Il giochetto proseguì fino alle curve dei Cappuccini. Nel tratto successivo l’altra macchina mi superò per l’ultima volta. All’altezza della Badia, appena passata la Calp, dal finestrino del guidatore spuntò un braccio.
La mano impugnava una pistola. Si inclinò leggermente all’indietro, nella mia direzione, e sparò.
Non successe niente, ma quello sparo mi deflagrò in testa.
Fui pervasa da scosse di terrore. Pensai, se ora mi fermo e quello scende sono finita.
Cercando di restare lucida, anche se tremavo come un tossico in crisi di astinenza, decisi di seguire quell’auto rimanendole incollata dietro.
In questo modo impedivo al guidatore di fermarsi, perché mi avrebbe avuto addosso. Se avesse voluto sparare di nuovo, la traiettoria sarebbe stata sempre falsata dall’uso della mano sinistra piegata all’indietro mentre l’altra era impegnata nella guida.
Guidai per le curve sotto alla villa del Bottai cercando di memorizzare la targa. Passai il ponte di Spugna e attraversai piazza Arnolfo ripetendola ad alta voce, poi via dei Botroni e il passaggio a livello per andare in Vallibona. La macchina era sempre davanti a me. Continuavo a ripetere i numeri della targa, certa che non me li sarei dimenticati mai più.
Subito dopo il distributore la macchina svoltò a destra senza mettere la freccia.
Temetti un’imboscata. Pensai, ora questo mi attira in una strada senza uscita. E anche, stai a vedere che mi fa andare avanti così poi mi insegue con la sua pistola.
Per fortuna poche decine di metri dopo c’era il bivio per casa mia. Lo presi più in fretta possibile, sperando che il tipo, se avesse mai avuto intenzione di seguirmi, non facesse in tempo a vedere la direzione che avevo preso.
Salii per le strade sterrate e finalmente arrivai a casa. A quanto pareva nessuno mi aveva seguito.
Ripetendomi mentalmente la targa corsi da babbo e mamma per raccontare che cosa mi era successo. Purtroppo, mentre parlavo in preda all’agitazione, me la dimenticai.
Non del tutto, però. Mi ricordavo le prime tre cifre. Inutile starci a pensare. Sentirmi finalmente al sicuro dopo quella botta di adrenalina mi aveva fatto piombare addosso tutta la stanchezza del mondo.
Il giorno dopo i colleghi mi consigliarono di segnalare il fatto alle forze dell’ordine. Niente di più facile visto che seguivo la cronaca nera e chiamavo polizia e carabinieri almeno tre volte al giorno. I miei dubbi erano solo sul fatto che alla fine non era successo niente.
In ogni caso riferii quello che mi ricordavo, il modello di macchina, il colore e i primi tre numeri della targa. Oltre al percorso di quella sera.
Qualcuno mi disse, sarà stato un ragazzo che voleva fare lo spiritoso con una ragazza. Altri invece mi fecero un po’ di domande su che cosa avessi visto e sentito al momento dello sparo. Quel braccio che esce dal finestrino insieme alla pistola è un’immagine cristallizzata, come una fotografia. Lo rivedo ogni volta.
Dissi di aver visto una lucina esplodere dalla canna, ma non ricordavo il rumore dello sparo. Il terrore si era divorato tutti i particolari.
Dopo qualche tempo mi comunicarono che il caso era risolto.
Il ragazzo che aveva sparato era un rappresentante che teneva una pistola a salve in macchina per sentirsi più sicuro durante i viaggi.
Lo conoscevo. Eravamo all’asilo insieme ed allora era un bambino che mi piaceva.
La sua mamma era stata a scuola con la mia. La vedemmo un giorno e ci trattò freddamente. Capimmo solo dopo il perché.
Io non sporsi denuncia e non ho idea di che cosa gli abbiano contestato né se l’abbiano fatto.
Sperai che almeno tutto questo gli servisse da lezione.
Qualche mese più tardi ne parlai con gli amici del corso di paracadutismo. Un poliziotto mi disse, ma eri te quella della pistola? Siamo stati un giorno intero sulla strada della Badia a cercare il bossolo e non l’abbiamo mai trovato.
Rideva, ma lo disse anche un po’ come se fosse stata tutta una perdita di tempo.