Dopo la prima fuga di Ercolino, rafforzai le misure di sicurezza per evitare nuovi imbarazzanti episodi. Ercolino però, assaporato il gusto dell’avventura, mordeva il freno. Alla fine avevamo raggiunto un compromesso. Quando tornavo dal lavoro, a sera inoltrata, Ercolino poteva fare un giro sul davanzale. Sempre che l’anziana vicina avesse chiuso la sua finestra.
Lo studiolo infatti aveva questa caratteristica: una finestra larga quanto la parete, molto alta, stile mansarda, che affacciava sui tetti. La vicina aveva una stanza gemella e il davanzale, largo un’ottantina di centimetri, era unico per entrambe.
Quello era il giardino di Ercolino. Era lì che faceva due passi o stava seduto a guardare i tetti o ad ascoltare la musica e il rumore della gente, nelle sere di festa.
Per controllare la finestra della vicina dovevo salire su una sedia, appoggiare un piede sul mobile scrivania e sporgermi sulla sinistra.
Quella sera era chiusa e pensai che lo sarebbe rimasta, visto che erano ormai le dieci passate.
Qualche tempo prima avevo chiesto all’anziana vicina se per favore poteva tenere chiusa quella finestra, almeno la sera. La sua casa, grandissima, aveva due terrazze spaziose e per arearla non le serviva sicuramente la finestrina della cameretta.
Rispose, come al solito, stizzita, che non poteva mica stare a pensare ai comodi miei, e poi per un gatto, che solo una pazza eccetera eccetera.
Ragion per cui mi sporgevo e controllavo.
Quella sera però Ercolino non rientrò.
Salii a controllare il davanzale e constatai, con raccapriccio, che la finestrella era dispettosamente aperta.
Dio dei Gatti, ti prego. Fa’ che non debba andare ancora una volta a suonare alla vicina. Fai che Ercolino rientri da dove è uscito…
Pur di non presentarmi ancora una volta a quella porta, decisi di agire in modo diverso.
Salii sulla sedia, appoggiai il piede sul mobile scrivania e mi arrampicai sul davanzale. Era largo abbastanza per starci distesa. Strisciando verso sinistra sarei arrivata alla finestra incriminata. Forse mi sarei potuta calare all’interno della cameretta gemella, prelevare Ercolino e tornare in casa senza dover disturbare nessuno.
Mi armai di una pila e strisciai, tenendomi forte agli stipiti e sforzandomi di non pensare troppo al fatto che sulla destra avevo un vuoto di quattro piani.
In ogni caso, strisciando strisciando, arrivai davanti alla finestra.
Ercolino era lì, seduto in mezzo alla stanza che mi guardava. E miagolava.
- Ercolino, vieni, su, tesoro, fai il bravo…
Era facile. Bastava che facesse qualche passo, saltasse sul lettuccio e da lì sul davanzale della finestra. Ma Ercolino non si spostava di un centimetro. Se ne stava in mezzo alla stanza, nella sua posa elegantissima di gatto nero, con le due zampine appoggiate davanti, e mi guardava. Miagolava a modo suo, muovendo solo la bocca, come Salem di Sabrina vita da strega.
Considerai di calarmi all’interno ma, vedendo il lettuccio sotto la finestra, dubitai fortemente che sarei riuscita a tornare indietro. Inoltre, tutto quel movimento notturno, sospesa al quarto piano senza una ringhiera né una balaustra, cominciava a preoccuparmi un bel po’.
Potevo immaginare i titoli di giornale, del mio giornale.
Sfracellata in pieno centro – Precipita dal quarto piano mentre cerca di recuperare il gatto.
Insistetti ancora con Ercolino. Quando capii che non c’era niente da fare, strisciai all’indietro, piano piano, e rientrai in casa.
Ormai, purtroppo, sapevo che cosa dovevo fare. Aspettai l’ora giusta, intorno a mezzanotte, quando la vicina avrebbe spento il televisore e si sarebbe tolta le cuffie, e suonai.
Andò tutto come l’altra volta, eccetto per il fatto che Ercolino scelse di nascondersi nella camera della vicina anziché nello studiolo.
- Oddio, aiuto. Un gatto nella mia camera! Lo faccia uscire, che paura…
Anche stavolta, dopo rincorse e inseguimenti, riuscii a prenderlo e a mettermelo in spalla. Mi raccomandai alla vicina di fare silenzio, per favore, per non spaventarlo, pur sapendo che non mi avrebbe ascoltato.
- Ah, lui è spaventato? E allora io?
Ringraziai, mi scusai, salutai e corsi in casa dove mi chiusi la porta alle spalle e feci lo stesso con la finestra sui tetti.
Il giorno dopo incaricai un amico di comprare delle listarelle di legno e un po’ di rete da pollaio per costruire una gabbia da fissare sul davanzale.
Fu questo il tributo da pagare per una sconsiderata libertà.