La strada dei ricordi perduti

Andando avanti lungo la Cassia, dopo aver girato per Pian del Lago, un altro ricordo mi tiene inchiodata a quello stesso periodo di trent’anni fa.  

Una domenica mattina in redazione arrivò la notizia che quattro ragazzini non erano rientrati a casa dalla discoteca. 

I genitori avevano percorso la strada avanti e indietro più volte, temendo che fosse successo un incidente, ma non avevano visto la macchina da nessuna parte. 

Anche i poliziotti si erano convinti che quei ragazzi avessero preso una direzione diversa, magari per fare un giro lungo chissà dove o forse per scappare di casa e vivere qualche giorno di libertà in qualche posto lontano.

A Bologna, per esempio, dove venne fuori che uno dei quattro avesse dei contatti.

Sulla macchina c’erano tre ragazzine, due delle quali sorelle, e un ragazzo, l’unico maggiorenne, che era alla guida. 

Man mano che passavano le ore e dei ragazzi nessuno sapeva niente (erano tempi senza internet e cellulari), si facevano strada tante ipotesi.

Alla fine anche in redazione parve prevalere quella della fuga. Tantopiù che il ragazzo sembrava essere un po’ particolare, disse qualcuno che lo conosceva. Bravo eh, niente da dire. Ma magari aveva delle tendenze diverse. E quindi, chi meglio di lui avrebbe potuto convincere le ragazzine a seguirlo nei suoi giri alternativi, o magari addirittura obbligarle, con la scusa che la macchina era la sua? 

O forse avevano fatto solo finta di andare in discoteca ma si erano preparati, tutti d’accordo, per fuggire altrove. O magari erano andati veramente in discoteca, dove diverse persone in effetti li avevano visti, con l’idea di continuare la serata in qualche posto più stimolante, con l’aiuto di qualche sostanza. 

Gli elementi per costruire storie fantasiose c’erano tutti. La discoteca, il sabato sera, il presunto uso di sostanze stupefacenti, le misteriose inclinazioni del ragazzo, la supposta ingenuità delle ragazze. Una fiera dei luoghi comuni in cui purtroppo chi si occupa di cronaca, ma anche gli stessi inquirenti, talvolta tende a sguazzare un po’ troppo. 

La domenica si chiuse con un enorme punto interrogativo. Ma intanto le ricerche erano state avviate e qualcosa sarebbe venuto fuori, prima o poi. 

La mattina dopo, lunedì, un artigiano si recò al lavoro sul suo camioncino alle prime luci dell’alba, quando i campi e le strade erano ancora velati dall’umidità della notte.

Il signore era ben sveglio e attento alla guida. Giunto in prossimità di una curva che butta sulla destra, notò sul manto stradale i segni del passaggio di un’auto resi evidenti dalla rugiada. La cosa gli apparve strana perché il percorso di quelle ruote sembrava andare direttamente dall’altra parte, come se il conducente non avesse visto la curva e avesse continuato andando a diritto, senza nemmeno frenare.

L’artigiano fermò il suo furgoncino sul lato della strada, scese e andò a dare un’occhiata. 

Le impronte degli pneumatici si interrompevano sul ciglio. Sotto, c’era il greto del fiume, una sorta di antro spettrale invaso dalla vegetazione. Laggiù, sotto di qualche metro, c’era un’utilitaria sospesa con il muso in picchiata, trattenuta dalle piante. 

L’uomo chiamò subito la polizia. L’auto fu recuperata. Purtroppo, nonostante il fitto strato di vegetazione che aveva attutito la caduta, i quattro ragazzi erano tutti morti.

Il mistero alla fine era stato svelato e la realtà, purtroppo, si era dimostrata più semplice, quasi banale, rispetto alle insinuanti ipotesi della domenica.

Io non ho mai smesso di chiedermi, come facemmo tutti allora, quando quei ragazzi fossero morti e se, trovandoli prima, avrebbero potuto essere salvati.

Oggi in quel punto, dopo tanto tempo, qualcuno mette ancora un mazzo di fiori.    

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