Le lunghe estati al negozio di babbo

Quando ero alle medie, durante le vacanze estive aiutavo babbo al negozio di elettrodomestici. Ad agosto zio Romano e Donatella, l’impiegata, erano in ferie e io sostituivo lei alla gestione del gas. Prendevo le telefonate, recuperavo i dati del cliente da uno schedario, li aggiornavo con la data dell’ultima fornitura e passavo l’ordinazione della bombola, specificando il volume e il tipo, al signore in tuta blu che l’avrebbe consegnata con l’Ape. 

Ricordo le lunghe mattine fresche nel negozio nuovo in piazza Arnolfo, anzi in via Usimbardi, dove prima c’era la Posta. Di là, sulla piazza, c’era una trattoria dove si faceva colazione con le acciughe sotto pesto, la trippa e un gotto di vino rosso. Dalle finestre entravano gli effluvi della cucina, la ribollita, le carni lesse, quelle stufate. L’odore sapeva di unto, ma era sempre molto frequentata, con i tavolini sotto le logge davanti alla sede del PCI, soprattutto da camionisti e dai contadini che venivano a Colle per il mercato del venerdì. Ricordo il bancone di marmo e la vetrina con gli affettati, i formaggi e i sottoli. Al tempo la snobbavamo un po’. Oggi potrebbe risalire la classifica delle osterie nelle migliori guide gastronomiche. 

Quando andavo al liceo invece cominciai a sedermi ai tavolini esterni per bere un gotto di aleatico nelle ore che passavamo in piazza con gli amici. 

Al negozio in agosto c’erano tanti tempi morti. A volte mi trovavo anche completamente sola. Capitava allora che vendessi un disco o delle pile. Agli elettrodomestici ci pensava babbo, che però spesso era fuori con l’altro dipendente per la consegna di televisori, lavatrici e cose del genere. 

Nei momenti di calma seguivo dei campionati di tennis in tv. Il mio tennis era fatto di qualche partita strampalata ai campi in terra battuta delle stradine con la mia amica Sandra, le racchette in legno e budello, una Maxima e una Dunlop, passatemi da babbo e un amore viscerale per Adriano Panatta e per un americano dai capelli biondi di cui ho dimenticato il nome. Erano i tempi del capitano Nicola Pietrangeli, con Paolo Bertolucci e Lea Pericoli. Quando guardavo le partite mi sembrava che niente contasse al di fuori della terra rossa e dei gonnellini della Pericoli.

Era anche uscito un videogioco, forse il primo, in cui si giocava a tennis, anzi a ping pong. Su uno schermo nero facevamo muovere un rettangolino bianco con il quale respingevamo la pallina, un rettangolo più piccolo. Potevamo decidere la velocità del gioco, il singolo o il doppio. 

Appena si entrava in negozio, sulla sinistra, c’era un espositore con le musicassette.

Per me era la porta di un universo parallelo, un mondo tutto da scoprire. Solo guardare le copertine delle cassette mi faceva venire la voglia di ascoltarle tutte. Il mio canto libero, La collina dei ciliegi e Il nostro caro angelo di Battisti, Folk Beat n. 1 di Guccini. Ornella Vanoni, la Formula 3, Wess e Dori Ghezzi, Adriano Celentano. I Pink Floyd, gli Eagles, i Led Zeppelin, i Beatles, i Rolling Stones, i Jethro Tull, i Bee Gees. Era come essere in una pasticceria senza nessuno che ti controllasse e tu potevi assaggiare questo e quello, dal cannolo al babà, ai risotti alle pesche all’alchermes fino ai bignè con la crema, la cioccolata e lo zabaione.

Insomma, erano gli anni ’70.

Babbo mi aveva dato il permesso di ascoltare le cassette che non avevano il cellophane. Dopo un po’ ero io che decidevo quale ce l’aveva e quale no. Dopo un altro po’ non potevo resistere e mi portavo a casa quelle che mi piacevano di più. Fu un periodo fantastico. Ascoltavo i nuovi arrivi al negozio e poi continuavo ad ascoltare a casa quelli che mi piacevano di più. Cercavo di capire le parole e le scrivevo su un quadernino, provando a scoprire il significato delle canzoni. Qualcuna la suonavo con la chitarra, che avevo appena iniziato a studiare con don Vanzetto dai Salesiani.    

Vivevo dentro un sogno che sembrava non dovesse finire mai più.

Un giorno babbo torna a casa e dice. C’è un problema al negozio. Spariscono le cassette ma non risultano vendute. Te ne sai niente Simona?

Faccia rossa. 

Io? Uh, no, perché…

Dimmi che non ne sai niente…

No, in effetti, io…

Faccia bordeaux. Allarme rosso.

Simona, fammi vedere quante cassette hai in camera…

No, ma io…

Quella sera babbo tornò al negozio con una borsata stracolma delle “mie” cassette.  

Riuscii appena a convincerlo a lasciarmene qualcuna, ma la maggior parte se ne andò. Fu un vero smacco, sia per essere stata scoperta, sia per scoprire, allo stesso tempo, che non stavo facendo proprio una cosa bellissima.

Quel giorno la mia anima musicale subì uno strappo tremendo.

Non ho più rivisto La collina dei ciliegi e Il nostro caro angelo. Ma per fortuna mi ero imparata tutte le parole a memoria.

(foto tratta da Torrino Tennis Academy)

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