Di quella volta che mi chiesero un panino con la mortadella ricordo soprattutto il battito accelerato del mio cuore. E quella mortadella enorme, pesante, che mi scivolò dalle braccia nel banco frigo. Era estate, studiavo all’università e lavoravo in una birreria, nonostante il parere contrario di mamma e babbo che temevano restassi indietro con gli esami.
Avevo già notato gli occhi azzurri di quel ragazzo con i ricci castani, ma non mi ero mai ritrovata da sola con lui. E invece quella sera ero di là, nella stanza dei panini, anziché al solito bancone.
Mi fai un panino con la mortadella?
Non passò molto tempo che mi trasferii da lui.
Abitava in una casa in campagna ancora più isolata di quella in cui vivevo con i miei. Lui di giorno lavorava, usciva la mattina presto e rientrava il pomeriggio.
Io la sera lavoravo in birreria e nel tempo libero studiavo. A settembre avrei dovuto dare l’esame di latino.
Mi mettevo fuori, seduta al tavolino, e facevo le versioni, leggevo, prendevo appunti. Era passato un po’ di tempo da quando il latino era la mia materia preferita e le traduzioni mi venivano così, quasi da sole.
Capitava che studiassi anche quando lui tornava a casa. Allora mi chiedeva di smettere e di stare con lui. Dopo un po’ però dovevo rimettermi a studiare, altrimenti non ce l’avrei mai fatta.
Lui allora si lamentava molto. Mi diceva che studiavo troppo e che non sapevo godermi la vita.
Mi diceva frasi del tipo, Simona, essi te stessa.
Una volta passò a trovarmi un amico, mentre ero fuori che studiavo e si fermò per fare due chiacchiere.
La sera glielo raccontai e lui si arrabbiò. Per lui hai interrotto lo studio, per me invece no. Quanto conto io per te, mi chiedeva, a che posto sono nella tua vita?
In che senso, scusa?
Nel senso che te prima pensi allo studio, al lavoro, agli amici, alla famiglia e poi vengo io.
E io, che ne sapevo io allora io che ognuno è diverso e ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi, ognuno col suo viaggio, ognuno a rincorrere i suoi guai e che forse non ci incontreremo mai.
Che ne sapevo io di come certi fiumi scorrono tranquilli e maestosi, altri più impetuosi, ma arrivano sempre al mare, mentre certi altri si disperdono in tanti rivoli fino a morire o partono rivolo e piano piano, affluente dopo affluente, crescono e alla fine arrivano al mare anche loro.
Niente ne sapevo.
L’unica cosa che sapevo era che quella casetta di campagna era sempre più una gabbia vuota e il verde degli alberi tutto intorno aveva perso le sue sfumature.
Arrivò il giorno dell’esame e, naturalmente, feci una prova deludente.
Mi dispiace rovinarle la media, disse il professore, ma non posso darle più di un diciannove.
Rifiutai.
Quindi tornai alla casetta del nostro amore, feci le valigie e me ne andai.
Naturalmente non finì lì. Ci furono telefonate accorate, recriminazioni, insinuazioni, il rifiuto di restituirmi alcuni oggetti e altre cose simili.
Però rimasi a casa mia e non rividi più il ragazzo dagli occhi azzurri, se non una sera che ero al cinema con le amiche, per restituirgli le chiavi.
Qualche mese dopo riprovai con l’esame di latino.
Quella volta andò decisamente meglio.
Maledetta mortadella.
Maledetti occhi azzurri
vero!