Qualche giorno prima che L. riemergesse dal passato per riconsegnarmi il libro di Bilenchi con dedica autografa per babbo, da quello stesso passato era già riemerso un vecchio appunto.
È il brogliaccio di una lezione che tenemmo insieme, io e L., agli attoniti, e forse anche piuttosto disinteressati, studenti del corso di Estetica dell’università degli studi di Siena, facoltà di lettere e filosofia, corso di laurea in musica e spettacolo.
Anche noi due eravamo solo studenti, ma all’epoca era molto viva in me una facoltà che forse, noto con dispiacere, si è un po’ spenta con il tempo, insieme alla fisiologica diminuzione della memoria. La fissa con i collegamenti.
Per cui, ogni cosa che leggevo, che ascoltavo, ogni persona che conoscevo, qualsiasi cosa, doveva per forza avere un corrispettivo altrove. Non una copia, ci mancherebbe, ma una relazione. Un è come se. Dei punti di contatto che mi aiutassero a fare dei nodi nella sterminata rete della conoscenza possibile.
Una specie di mappa mentale, prima di sospettare che esistessero e fossero state addirittura codificate.
Quindi, dal momento che il programma di Estetica di quell’anno affrontava il tema del superuomo di Nietzche e, immagino, per storia della Musica moderna c’era da approfondire la musica estenuante di Wagner, io studiai Nietzsche e ascoltai Wagner pensando incessantemente ai punti di contatto tra i due.
Poi, mentre un pomeriggio studiavamo insieme, prospettati a L. la mia teoria, proponendogli di approfondirla e presentarla al prof in occasione dell’esame.
Il prof era Alberto Olivetti. Che ci disse, tutto molto bello e interessante. Ma ora facciamo l’esame con il programma stabilito, poi fissiamo una data così illustrerete a tutta la classe la vostra teoria.
Mi sembra di ricordare che la lezione non fu proprio un’apoteosi, ma non credo nemmeno che ci abbiamo proprio perso la faccia.
Riguardando la vecchia traccia intanto noto che sono sintetizzati sei punti, nemmeno troppo motivati, dal che intuisco che l’idea ce l’avevo proprio in testa e mi bastava giusto il la per tirarla fuori.
Le calligrafie sembrano essere due, abbastanza diverse l’una dall’altra. Una piccola con le lettere strette e in alcuni casi pendenti verso destra, che credo fosse quella di L., l’altra più larga e ariosa, che riconosco essere la mia.
Il titolo è un po’ debole, “Nietzsche e Wagner: un binomio?”, ma all’epoca la conoscenza delle regole della comunicazione era sicuramente sotto lo zero.
Ogni punto, quindi, riporta il numero di pagina del brano di Così parlò Zarathustra al quale ci riferiamo, e il minuto dell’opera di Wagner alla quale lo compariamo.
C’è il mormorio della foresta dal Sigfrido, le tre metamorfosi che riportan al duetto di Venere del Tannhauser, la liberazione dal tu devi con la cavalcata delle Valchirie, l’entrata degli Dei nel Walhalla, l’analogia per contrario sul tema della redenzione, con la morte e la successiva salvezza di Tannhauser. E infine, la danza del superuomo e la danza degli apprendisti dai Maestri cantori di Norimberga.
“Quello della redenzione, scrivevo, è un tema caratteristico di Wagner (Tannhauser redento da Dio), con il passaggio dal così fu al così volli che fosse, inteso come volontà. Un altro gradino verso la costruzione del superuomo”.
Forse, quando avrò un periodo un po’ più tranquillo e contemplativo, potrei mettermi a ricostruire questa teoria, anche se, a dirla tutta, pensare oggi a Nietzsche e Wagner, con la loro energia ridondante e per alcuni versi malsana, mi sembra già di per sé l’anticamera di un possente mal di testa.
Di tutto quello studio e di quelle teorie, oggi ricordo la coscienza della pazzia. Di Nietzsche che, ormai delirante, suona il pianoforte con tutto se stesso, perfino, come ci disse soavemente il prof, con il membro.
Di Wagner, la cui musica, caratterizzata da giri armonici incompleti, lascia aperti spiragli che creano un senso di incompiutezza e di ansia in chi ascolta.
Mi resta l’immagine degli elicotteri di Apocalypse now, con le mitragliate al ritmo della cavalcata wagneriana. Mi resta l’orrore dello stravolgimento di teorie romantiche, sicuramente esagerate ma probabilmente anche abbastanza innocue (ma chi può dirlo), a beneficio e consumo della filosofia hitleriana che, quella sì, avrebbe sconvolto il mondo e l’idea stessa dell’essere umano, oltre ogni limite.
Senza alcuna possibilità di redenzione.