Mestruazioni

Un tempo in Campolungo, dove la Gora era ancora scoperta, girando a destra si trovava la bottega delle donnine, due sorelle che vendevano fili, calze e bottoni. Mamma ci diceva, mi andate a prendere un filo da imbastire dalle donnine? 

Lì, se si era abbastanza grandi, si potevano comprare anche le mutandine igieniche.

La prima mestruazione l’ho avuta alle scuole medie, non ricordo l’anno. Me ne accorsi per caso andando al bagno, e pensai, ormai la tengo e vedo poi quando sono a casa.

Di questo sangue che usciva ne avevo sentito parlare dalle ragazzine più grandi, nei pomeriggi sedute sul muretto a cercare di capirci qualcosa. Tutto era sempre molto misterioso e confuso e soprattutto non c’entrava niente con l’altro mondo, quello dei babbi e delle mamme, con i quali di queste cose non si parlava.

Quando mamma tentò di spiegarmi io feci finta di non saperne niente. Misi su una faccia stupita, non volevo che ci rimanesse male.

In ogni caso nessuno mi aveva detto la cosa più importante. Che non c’era nulla da tenere. Mi avevano parlato degli assorbenti, ma probabilmente pensai che fosse una cosa in più, per sicurezza.

Negli anni del liceo con la mia famiglia andavamo al mare al sud. Un’estate andammo in Calabria, a Sibari. C’erano un sacco di ragazzi e si stava tutti insieme al bar, in spiaggia e la sera in discoteca. Barbara era la più bella, un po’ Carly Simon un po’ Jane Birkin. Veniva da San Giovanni, vicino a Milano. Diventammo amiche.    

Barbara aveva elaborato un sistema per parlare di cose legate ai ragazzi senza farsi capire dai grandi. Una scala complicata di numeri e parole che sembravano altro.

La cosa più semplice era che chi aveva le mestruazioni “cantava”, come in quella pubblicità in cui una tipa gorgheggiava tutta felice perché aveva le ali.

Così se una ragazza non faceva il bagno le chiedevano, oggi canti? 

Non ero ancora abbastanza grande per leggere Porci con le ali, che mamma aveva foderato con una carta da pacchi bianca per tenercelo nascosto e perché “la nostra vita sessuale non rischiasse di venirne distorta”.

La mela e il serpente di Armanda Guiducci però non era foderato. C’era questa donna in copertina con le gambe nude dalla coscia in giù e l’aria pensierosa e un po’ triste. 

Lo lessi prima di una vacanza in Calabria e scoprii le superstizioni che ancora resistevano al sud nei confronti delle donne mestruate.

Un giorno andammo in un paesino a fare la spesa e a me mancavano gli assorbenti.

Impressionata da quanto avevo letto, pensai di entrare nella bottega che vendeva generi alimentari e tutto il resto, controllare in silenzio gli scaffali e trovare l’oggetto misterioso. Mi chiesi se fosse il caso di rischiare con gli assorbenti interni o se avrei fatto meglio a comprare quelli normali.

Una volta dentro, mamma si girò verso di me e disse a voce alta, te non dovevi comprare gli assorbenti? Chiedi se hanno quelli che vuoi. 

Diventai viola, abbassai lo sguardo e le dissi a mezza voce, zitta, te non lo sai che ne pensano qui di queste cose.

Non ricordo in realtà alcuna reazione, fra la gente del posto. Ricordo solo la mia rabbia sorda. Nonostante mi reputassi di ampie vedute, una che si è sempre rifiutata di chiamare le mestruazioni con qualsiasi altro nome, avevo fatto un’orrenda figura da bigotta, incastrata malamente nel mio libro femminista.

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