Più che un sogno, un incubo

In questo periodo scrivo poco perché scrivere è ricordare (anche) e ora mi viene meglio dimenticare.
Però il sogno di stanotte provo a fissarlo.
Premetto. È da un po’ che faccio bei sogni, pieni di bella gente, di situazioni stimolanti. Solo che al mattino sfuma tutto. Qualche volta rimane una traccia, come una bava di lumaca, che si ricollega a pensieri e fatti pur restando irraggiungibile nella sua dimensione onirica.
Orbene. Stanotte io ho sognato Trump.
Non solo ho sognato Trump, ma egli era il mio ortopedico che, per curarmi la frattura del piede, mi faceva tagliare una fetta di osso alla caviglia. Un medaglione osseo, sì.
Solo che io non ero mica molto convinta che la cosa funzionasse, per cui c’era tutto un movimento che mi portava di qua e di là per cercare di fare guarire questo piede.
Che guariva. Miracolosamente.
Cioè, la caviglia risarciva ma mi rimaneva il medaglione in mano e che ci potevo fare se non rimetterlo al suo posto?
Allora, in un momento non c’era verso di farlo perché la pelle e tutto il resto si erano richiusi e per inserire l’osso avrei dovuto tagliare.
In un altro momento il processo di cicatrizzazione non era ancora terminato e io facevo in tempo ad inserire la fettina di osso come il prosciutto in un panino.
A un certo punto son finita pure nel mio ultimo posto di lavoro, dove accomodavano tutto, e mi aiutavano a risistemare il piede.
Trump però si incazzava.
Mi chiedo perché mi sia rimasto in mente questo coso qua anziché quelle belle avventure che mi facevano sentire più leggera per tutto il resto della giornata.
Ma così è.

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