Costretta a fare sesso da un handicappato
A tredici anni
Dietro alle macchine dei professori nel cortile della scuola
Una rossa una blu una rossa
Con la paura di essere vista dai compagni con quello lì
E poi gli fa anche il verso
Come si fa il verso a un handicappato
Con la voce soffocata la testa all’indietro e il mento all’insù
È la parte più dissacrante dello spettacolo (lLa Merda, di Cristian Ceresoli, interpretato da Silvia Gallerano) secondo me
Quando l’attrice, sola sul palco, nuda, con le cosce grosse il seno un po’ cadente e la bocca orrendamente dipinta di rosso, spalancata e distorta in una smorfia perenne
Ha raccontato l’episodio
Con la voce impostata da ragazzina deficiente
Oddio, più che deficiente forse un po’ perbenista
Quel tono da se fosse per me io non lo avrei mai fatto ma ci sono stata costretta
Quella che io non sarei così ma è la società che mi trasforma
Ma accusa un handicappato di averla costretta a far sesso
Ha rotto il tabù
Attenzione
Anche gli handicappati sono stronzi
Ergo
Anche gli handicappati sono persone
Che pensano hanno istinti sbagliano e fanno del male
Non solo vittime
Non solo handicappati
Questo spettacolo se fossi un handicappato
E chi dice che non lo sia
Lo urlerei in faccia al mondo
Quando il buono, il politically correct
Abbassa la voce, e gli occhi, perché non si dice, non si fa
E nemmeno si pensa
Nega la persona handicappata
Lo uccide come essere umano
Lo nasconde dietro il paravento dell’handicap
Lo trasforma in una povera vittima da compatire
E basta
Niente sentimenti niente istinti solo l’handicap
Voce bassa e occhi a terra
Compassione, pietà
Nessun diritto a esistere di per sé
E invece questa qua, nuda e con le cosce grosse, e con il triangolo nero, isoscele, come negli anni ’70, prima delle brasiliane delle depilate del filino verticale o del triangolino smussato
Urla facendogli il verso
All’handicappato
Poi c’era tutto il resto
La trasformazione della società
Che ti trasforma
E tu che vuoi trasformarti secondo modelli imposti
E tutto è merda
E tu vivi nella merda e mangi la tua merda
Pasolini lo aveva previsto
Raccontato
Dove eravamo rimasti?
Ah già, Salò o le 120 giornate di Sodoma
Mangiavano merda
E polpette di chiodi
Partendo dalla Ricotta, forse
Con quel povero cristo che muore di indigestione
Noi poi lo abbiamo fatto
In quarant’anni
La ragazza con la vocina spezzata da deficiente e la bocca rossa, rossa e spalancata
Così oscena e provocatoria, con le sue smorfie da piccola ipocrita
Più della nudità
Ce lo racconta
La ragazza che vuole farcela
Vuole diventare qualcuno
E c’è il padre, morto, e i suoi insegnamenti sull’Italia
Fatta da uomini bassi e con la camicia rossa
C’è la pubblicità, la tv
L’inadeguatezza e la voglia di superarla
Di trasformarsi in ciò che non si è
Per essere come ci vogliono
Successo
E divani
Passaggi obbligati ma senza garanzia
Non c’è un filo logico, lineare
Né nel racconto teatrale
Né in questo racconto
La traccia da seguire, forse, è proprio quella dell’intestino
Contorta
Aggrovigliata su sé stessa
E piena di merda
Appunto
Ps: A teatro quella sera c’era qualcuno che indossava un profumo delicatissimo
Una specie di opium leggero leggero
Io lo assocero’ sempre a questo spettacolo
Se mai dovessi risentirlo
Per fortuna
Mi hai fatto venire i brividi! Non so se per la storia o per la passione che hai messo nel raccontarla o proprio per come l’hai raccontata…non so se per piacere, per l’emozione che mi hai trasmesso o per cos’altro…so solo che ho i brividi, ma non mi dispiace.