il giorno che dissi addio a Vanessa

E’ da un sacco di tempo che volevo scrivere questa storia. Per la precisione da un anno, tre mesi e 6 giorni.
Era il 21 settembre dell’anno scorso e sapevo che sarebbe finito tutto.
La veterinaria aveva detto che sarebbe arrivata intorno a mezzogiorno.
Vanessa era stesa a terra sul suo materassino.
Ormai da giorni non riusciva ad alzarsi sulle zampe. Con mamma la trascinavamo su una copertina quando la portavamo alla clinica per fare le flebo. Dopo stava sempre un po’ meglio. Ma durava troppo poco.
Dal suo sguardo triste e rassegnato potevo pensare che avesse già capito tutto.
D’altra parte Vanessa capiva sempre tutto tanto che spesso non parlavamo o meglio, evitavamo di pronunciare alcune parole, per evitare di suscitare le sue reazioni. Non dico discorsi filosofici o situazioni che riguardavano esclusivamente noi.
Era sulle sue cose che aveva uno straordinario sesto senso.
Mi sono sempre chiesta perché quando mi vestivo per uscire per i fatti miei non muoveva un dito, mentre se solo pensavo che era il momento della nostra passeggiata si agitava e mi mordeva le mani mentre mi annodavo le scarpe da ginnastica per incitarmi a far presto correndo allo stesso tempo fino alla porta come se non potesse resistere un minuto di più.
In casa certe parole, come spasso, passeggiata, biscotto, pappone, non venivano mai pronunciate a sproposito. Lei capiva subito e si comportava di conseguenza. Non si poteva certo deluderla o, peggio, prenderla in giro

Vanessa aveva 13 anni e qualche mese. Aveva sempre vissuto con noi da quando la scelsi nella cucciolata dei setterini nati da Ella e Artù.
Aveva una simpatica ritrosina che le segnava il muso in verticale e si chiamava Tosca, ma la ribattezzai subito Vanessa, che più si addiceva alle sue pose da signora e al suo pelo liscio e morbido come seta.

Quel giorno l’aria era irreale, almeno intorno a me. Mi preparavo a dirle addio sapendo che avrei deciso io come e quando se ne sarebbe andata.
Più che avere il cuore a pezzi mi sentivo come se non avessi più un cuore.
In quegli ultimi giorni Vanessa non si alzava più. A parte le poche ore in cui il suo organismo era ripulito grazie alle flebo che le faceva il veterinario, per lo più non riusciva nemmeno a far forza sulle zampe per alzarsi. Le era difficile anche mandare giù un boccone, lei che era stata sempre famelica e vorace. Per non parlare delle funzioni fisiologiche, che io ripulivo con pazienza sperando che la sua dignità di animale non ne risultasse troppo ferita.

Quella mattina, intorno alle 10, Vanessa cominciò a puntare le zampette a terra. Faceva una sorta di picchiettio con le unghie che all’inizio non comprendevo. Poi capii che voleva uscire.
La aiutai dolcemente a sollevarsi e la sospinsi, trattenendola per i fianchi, verso la porta, pensando che avrebbe fatto due passetti fuori e poi sarebbe rientrata come faceva in quei giorni in cui dovevo aiutarla anche a risalire il gradino di casa.
Passati alcuni minuti, non vedendola tornare, corsi fuori pensando di trovarla a terra incapace di rialzarsi. Ma davanti a casa non c’era.
Guardai prima a sinistra, poi a destra. Nessuna traccia di lei. Percorsi la discesa con un brutto presentimento. Guardai verso i garage. Niente.
Mi affacciai verso la strada di uscita. E finalmente la vidi laggiù, in piedi, tremolante davanti al cancello. Mi avvicinai in silenzio e assistei a una scena che mi lasciò senza fiato.
Dall’altra parte delle sbarre in ferro, solo pochi metri più avanti, c’era un capriolino.
Anche lui stava fermo. Fissava in silenzio Vanessa, che gli stava davanti e lo fissava a sua volta.
Nessun rumore, nessun movimento.
Non so dire quanto a lungo durò tutto questo.

Non so nemmeno che cosa significasse. Ho pensato che l’animale selvatico avesse intuito perfettamente che si trovava davanti a un suo simile malato. Un cane che in salute l’avrebbe rincorso e fatto fuggire impaurito, in quelle condizioni forse suscitava nel capriolo una sorta di curiosità. O di compassione. Ma questa è solo una mia interpretazione umana.
Di sicuro fu un momento di grande intensità.
Quando arrivai fino a Vanessa il capriolo stette ancora alcuni secondi a guardarla e poi scomparve nella vegetazione. La aiutai a fare la salita e a rientrare in casa, dove si stese sul tuo tappetino per non muoversi più.
A mezzogiorno arrivò la dottoressa che le fece il regalo di lasciarle passare i suoi ultimi momenti a casa. Quasi non ci credevo quando mi disse che sarebbe venuta personalmente. L’ambulatorio era fonte di tale sofferenza per Vanessa che non avrei mai voluto fosse l’ultima cosa che ricordava della sua bella vita.
La partenza fu veloce e, spero, indolore, almeno per lei.
La veterinaria fu partecipe e mi spiegò tutto quello che stava facendo e l’effetto che aveva sul cane. So che Vanessa, in quelle condizioni, non avrebbe potuto fare altro. Ma sentii che mi si affidava con tutta la fiducia e la dedizione che mi aveva dato in vita anche in quel momento estremo.
E io le carezzai la testolina dicendole parole dolci mentre se ne andava per sempre.

13 commenti

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13 risposte a “il giorno che dissi addio a Vanessa

  1. Susanna

    Carissima Simona, solo un mese prima di quando hai salutato Vanessa io ho dovuto salutare Agata. Aveva 13 anni e aveva fatto da baby sitter alle mie figlie. Era lei che teneva compagnia a loro bambine quando io facevo tardi al lavoro, era lei che la mattina andava a buttarle giù dal letto. Con lei mi sono comportata male, in nome dell’educazione: non si sale sul letto, non si sale sul divano, non si mette il muso sul tavolo e tanti altri divieti che lei ha sempre rispettato. Di lei abbiamo più ricordi umani che animali. Aveva un tumore osseo che la divorava. Ho chiesto al veterinario di poterla avere con noi fin quando la sua vita fosse stata accettabile. Il suo male ci ha concesso un mese, durante il quale si è fatta curare con la pazienza che la contraddistingueva. Poi una mattina non ce l ha fatta più ad alzarsi. Non dimenticherò mai il suo ultimo sguardo. Mi adorava anche mentre chiamavo il veterinario. Non ce l ho fatta ad essere li, sono una pavida. A maggio è arrivata Penelope. A lei concedo tutto sapendo quanto è corta la loro vita e quanto l amore che danno. Per non farla sentire sola è arrivato, un mese fa anche Tolomeo. Ma spesso li chiamo Agata…..
    Susanna

  2. accantoalcamino

    Mi hai fatto piangere, ho provato la stessa cosa con Lorenzo, il mio gatto di 17 anni…

  3. grazie per avermi raccontato la tua bella storia, Susanna

  4. stefaniabecherucci

    Ciao Simona, che triste coincidenza, il dolore che tu racconti mi è affiorato proprio due giorni fa. Per S. Stefano sono andata a fare una lunga camminata tra Pietrafitta e San Gimignano, quando ad un tratto ho realizzato che sarei passata accanto al posto dove avevo lasciato Marsellus per l’ultima volta… Il dolore è forte ogni volta che ci penso, infatti non credo di avere mai veramente elaborato questa perdita. Marsellus era un pastore tedesco di 9 anni, stavamo insieme, soli io e lui, da quando lo portai a casa che aveva due mesi. La scelta più dolorosa e più pietosa che abbia mai fatto in vita mia, ma sarebbe stato troppo egoista da parte mia lasciarlo soffrire. Non camminava più, la displasia era irrecuperabile. Lui che correva come un matto nei campi, che non stava mai fermo… Si è addormentato letteralmente tra le mie braccia, è andato via accompagnato dalla mia voce. Spero che la sua morte sia stata dolce.
    Ma non sono riuscita a piangere nemmeno quando con mio padre lo abbiamo seppellito dove correvamo insieme. Sapevo che se avessi aperto questa finestra dentro di me, sarebbe stato difficile richiuderla. Infatti ora sto piangendo come forse avrei dovuto fare allora, ben 4 anni fa.

  5. lunetta231

    anch’io ho perso 4anni fa una cagnolina di 18 anni..aveva problemi di cuore. :”( ti auguro tutta la felicità del mondo e grazie per aver raccontato la tua storia..mi ha fatto sentire meno sola nel dolore che ancora vivo.un abbraccio

  6. cavolo Stefy, dovrei dispiacermi per averti fatta piangere ma invece mi sa che mi devo rallegrare. il dolore represso e compresso, o peggio ignorato o non riconosciuto, non è salutare. rimane chiuso dentro di noi chissà con quali effetti…
    io credo nel valore terapeutico della scrittura, per me, e dopo essermi raccontata questa storia mille volte e mai aver avuto il coraggio di scriverla per timore di essere lagnosa o chissacché, in questi giorni ho sentito proprio che mi usciva come avrei voluto
    come se in qualche modo si fosse rimarginata la ferita
    in realtà non era così, tanto è vero che ho pianto scrivendo, e piango ancora, mi son fatta venire il mal di testa dalle lacrime versate, piango ad ogni commento e ad ogni storia che mi viene raccontata in risposta
    evidentemente anche io, che credevo di aver superato questa sofferenza, la coltivavo ancora nascosta dentro di me
    che dire? che non credevo sinceramente che scrivere il ricordo di una cosa vissuta da me come da migliaia di altre persone potesse suscitare così tanti ricordi
    il fatto mi stupisce ma mi spinge a una riflessione. a quanto ci si maschera nella vita, a quanto si ignorano i dolori altrui, ma anche i nostri, per uniformarci ad un comportamento che altrimenti non sarebbe ritenuto equilibrato, corretto, sano…
    beh, scusa. ora mi sto facendo prendere la mano. sono pensieri che mi passavano per la mente oggi quando ho letto sul blackberry il tuo messaggio (e pensa te le coincidenze, in quel momento ero a san gimignano)
    ti abbraccio
    grazie per avermi raccontato la storia di Marsellus
    ciao
    Simona

  7. grazie a te, sapevo che tanti miei amici avevano vissuto la stessa cosa che avevo vissuto io, anche se non sapevo in quale modo, perché certe cose forse è difficile dirle, e magari uno si vergogna anche un po’ a piangere disperato per un cane o per un gatto o a raccontare tutte le fasi del dolore e della perdita
    ti auguro anche io gioia e felicità

  8. accantoalcamino

    Simona, solo a me non hai scritto nulla, forse perchè sono un'”estranea”?
    Pazienza, in futuro eviterò d’intrufolarmi in blog che non mi conoscono…Buon 2012

  9. no, chiedo scusa. non è così. mi ha fatto piacere leggere il tuo post come quello di tutti gli altri che mi hanno scritto qui, su facebook o in privato. devo ammettere che stamani ho iniziato a risponderti, ma poi mi pareva di scrivere sempre le stesse cose. è vero che non ti conosco, ma non conosco nemmeno lunetta. ho fatto un giro nel tuo blog, invece, trovandolo molto interessante, sia per il riciclaggio di avanzi (a proposito conosci ecocucina.org? mi pare si chiami così) sia per le ricette. poi evidentemente mi sono persa. non immaginavo che un mio ricordo, uno scritto che avevo bisogno di buttare fuori per far esplodere in qualche modo il dolore latente che mi pervade vedendo il vuoto lasciato da vanessa, suscitasse tanto interesse… scusami. conosco e rispetto il dolore di tutti

  10. paola_Surfy

    Pensa che Robre è il mio primo cane da adulta. Ne ho avuti parecchi quando stavo coi miei, e solo di alcuni ho avuto modo di vederne la dipartita. Gatti ne ho avuti di più, ma nessuno è morto di vecchiaia, purtroppo. Adesso ho Piuma, con me da 7 anni e mezzo. Vive solo per me, io sono il suo tutto, nonostante abbia amato mio figlio (la gatta, intendo) e stia cominciando ad accettare il mio compagno. A volte penso a quando mi lasceranno e sento già un vuoto enorme. Ci saranno altri animali nella mia vita, sempre, ma ognuno di loro è unico e nessuno potrà mai rimpiazzarlo. Rinnovo i miei auguri di buon anno per te, Simo.

  11. tanti auguri a te, Paola, anzi a tutti voi!
    è proprio vero, un gatto o un cane non valgono un altro gatto o un altro cane. ognuno rappresenta solo se stesso…
    baci!

  12. Ina

    Ciao Simo,
    Guarda che messaggio carino mi ha inviato stasera il veterinario, lo dedico a Gastone, Vanessa e a tutti quelli che non sono con noi materialmente…

    C’e’ un posto in Paradiso, chiamato “Ponte dell’Arcobaleno”.

    Quando muore una bestiola che è stata particolarmente cara a qualcuno, questa bestiola va al ponte dell’arcobaleno.
    Ci sono prati e colline per tutti i nostri amici tanto speciali così che possano correre e giocare insieme.
    C’è tanto cibo, acqua e sole, ed essi sono al caldo e stanno bene.

    Quelli che erano vecchi e malati sono ora forti e vigorosi. Quelli che erano feriti o storpi sono di nuovo integri e forti, come noi li ricordiamo nel sogno dei giorni e dei tempi passati.
    Sono felici e contenti, tranne che per una piccola cosa: ognuno di loro sente la mancanza di qualcuno molto amato, qualcuno che hanno dovuto lasciare indietro…

    Corrono e giocano insieme, ma un bel giorno uno di essi improvvisamente si ferma e guarda lontano, verso l’orizzonte. I suoi occhi lucidi sono attenti, trema per l’impazienza: tutto ad un tratto si stacca dal gruppo e comincia a correre, volando sul verde prato, sempre più veloce.

    Ti ha riconosciuto, e quando finalmente sarete insieme, vi stringerete in un abbraccio pieno di gioia, per non lasciarvi più. Una pioggia di baci felici bagnerà il tuo viso; le tue mani accarezzeranno di nuovo l’amata testolina e fisserai ancora una volta i suoi fiduciosi occhietti, per tanto tempo lontano dalla tua vita ma mai assente dal tuo cuore.

    Allora attraverserete, insieme , il Ponte dell’Arcobaleno…….

  13. Ma che veterinari in gamba che esistono! Fortunati gli animali e i loro padroni quando hanno a che fare con loro… Mi verrebbe da fare il paragone con certi medici ma meglio lasciar perdere… Grazie Ina. Conoscevo questa storia, me l’aveva segnalata la mia amica Cinzia di Treviso proprio dopo la morte di Vanessa. Te l’avrei anche voluta scrivere prima nelMa che veterinari in gamba che esistono! Fortunati gli animali e i loro padroni quando hanno a che fare con loro… Mi verrebbe da fare il paragone con certi medici ma meglio lasciar perdere… Grazie Ina. Conoscevo questa storia, me l’aveva segnalata la mia amica Cinzia di Treviso proprio dopo la morte di Vanessa. Te l’avrei anche voluta scrivere prima nel messaggio ma sinceramente non me la ricordavo bene… Grazie per averla riproposta!

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