Quando siamo andati a vivere a Vallecapocchi babbo lo diceva sempre.
Qui una volta c’era il mare, togliendosi dalle tasche dei pantaloni delle conchiglie fossili che appoggiava orgoglioso sul tavolino.
Le aveva trovate scavando appena appena nella terra intorno casa.
Non è come dire: qui una volta era tutta campagna. Anche perché qui “è” tutta campagna e noi speriamo che lo rimanga più a lungo possibile.
Inizialmente mi immaginavo un tempo lontano in cui il mar Tirreno lambiva Colle Val d’Elsa come se fosse Follonica o Castiglion della Pescaia.
Poi ho cominciato a capire che si parlava di mari ben più antichi, negli abissi del tempo e che sicuramente quella zona, così come tante altre, era stata coperta dalle acque milioni e milioni di anni fa.
(ora se ci fosse qualcuno esperto in ere geologiche non si sconvolga troppo, io non lo sono affatto, esperta intendo)
Le terre sommerse. E infatti le conchiglie che si ritrovano sono fossili…
Negli anni dalla terra intorno casa sono venute fuori conchiglie bellissime.
Tante le abbiamo anche regalate.
Un collega di Treviso appassionato di arte e archeologia gradì il mio fossile e lo espose in una teca in vetro in salotto. Me lo ricordo bene
C’è stato un tempo in cui, quelle più grosse, si usavano anche come posacenere.
Taro, il siberian husky bianco e rosso che scavava nella terra per stare più al fresco, una volta ne trovò una bellissima, finissima e perfetta.
Ridemmo divertiti per il fatto che il cane che cantava O sole mio riuscisse anche a recuperare cimeli senza rovinarli, con la stessa grazia di un archeologo.
La conchiglia di Taro fu sistemata sulla mensola sopra al camino, dove è ancora.
Un giorno, nemmeno tanti anni fa, facendo un giro per i campi con Gastone e Vanessa vidi che la terra arata da poco era tutta punteggiata di bianco.
Avvicinandomi mi accorsi che le punte delle zolle erano coperte da conchiglie fossili piccolissime.
Non potei resistere e, mentre i cani correvano felici nel bosco, io ne raccolsi il più possibile, pensando che altrimenti sarebbero scomparse al prossimo giro di lavoro nei campi, banalmente schiacciate e triturate sotto i cingoli di un trattore.
Ora stanno tutte insieme in un piattino viola, testimoni silenziose di un tempo lontanissimo.
Stupendo. A me lo dicevano quando si andava a passeggiare su per le Dolomiti.
Ciao Simo! Fortissimo il cane archeologo che canta o sole mio!
Il tuo modo di descrivere è molto evocativo. Questo momento mi ha fatto sentire un granello nell’universo. p.s. a stasera 😉
alla luce delle ere geologiche e delle terre sommerse sarà stato lo stesso mare…
Raffa, avresti dovuto sentirlo… la mia amica che si chiama come te, Raffaella, dava l’intonazione (anche perché fu lei a scoprire l’attitudine di Taro, a me l’avevano detto che faceva così ma non ci credevo…) O sole mioo… e lui metteva la bocca a ululo e partiva con le note giuste “uuuuuhh uuuuhhhh uh uh”… pazzesco, davvero!
lo siamo tutti, granelli… dello stesso universo
a stasera
ahhahaha, io ho sentito un cane che cantava “a novembre” di Giusy Ferreri, ma il tuo evidentemente andava sul classico!
eccheccavolo! più complicato anche…