un ultimo sforzo

Ecco, farò un ultimo sforzo, tanto le galline ormai sono già andate a letto. Sarei voluta andare a dormire anche io alle nove ma ho finito di lavorare un po’ più tardi. Allora mentre riscaldo una tazza di latte, la mia cena, vedo di scrivere ancora qualcosa, cioè il bello, della serata di ieri.
La sensazione che mi è rimasta addosso di tutto ciò che è successo ieri è quella di una cosa preziosa. Molto preziosa.
Un intreccio di valori, di luoghi, di persone, di cose, di cibi e profumi, senza una sola nota stonata.
Non la perfezione dei grandi eventi, organizzati a puntino, freddi e impersonali. No, direi più il gusto di una festa di famiglia in cui ognuno porta qualcosa di suo e l’insieme è quel che conta.
Confesso che, essendo la premiata, ho visto tutto quanto da un’ottica privilegiata. Ma l’atmosfera non l’ho creata certo io.

Cominciamo dal vestito. Il mio. Volevo essere elegante ma non formale, per cui, sul tailleur pantalone nero di morbido tessuto, ho messo su una maglia a righe orizzontali bianche e nere. Ovviamente, visto il posto, era una citazione. Il gondoliere. Spero si sia capito.
Stivaletti grigio antracite con tacco 5-6 e borsa grigia in vacchetta, una pochette media, diciamo, vendutami a forza dalla mary gallo che evidentemente temeva che mi portassi la pesantissima city bag gucci anche lì. E in effetti, siccome ogni volta che cambio la borsa mi gira la testa e non trovo più nulla era proprio ciò che volevo fare. Ma ho rinunciato, per un giorno.

Per arrivare a mazzorbo, nella laguna veneziana, isola mai vista né sentita prima, c’era la lancia privata, di bisol, quello del prosecco.
Lo stesso per tornare.
Alla cerimonia c’era un sacco di gente, credo un centinaio buono di persone visto che la saletta era strapiena.
Ci sono stati i discorsi ufficiali, quello sì, ma il cuore dell’iniziativa, di questo premio dedicato alla memoria di Paolo Rizzi, giornalista vecchio stampo del gazzettino e critico d’arte, l’ho sentito pulsante e sincero.

Era come se ci fosse un legame inevitabile fra quel posto e l’articolo che mi ha fatto vincere il premio. Fra la vita di Vich, ritmata dalla tradizione, e quell’aria senza spazio e senza tempo dell’isola sperduta nella laguna.
Un valore profondo che esiste di per sé e non ha alcun bisogno di esser detto.

Nella tenuta di bisol, che si chiama la venissa, c’è anche un ristorante. Fra l’altro la chef è una bellunese, paola budel, di santa giustina. C’è stato un piccolo buffet per tutti e una cena per pochi.
Alla cena sono state servite piccole cose, molto curate e originali. La chef dice che cambia menu anche ogni giorno, secondo quello che portano i contadini dagli orti e secondo il pescato.
Un uomo che volesse impressionare una donna con un gesto elegante e prezioso potrebbe regalarle una cena lì. A sorpresa.

Come inizio abbiamo avuto una minestra di cipolle e gamberetti con una specie di wafer salato. Poi un risotto allo zafferano appoggiato su una pennellata di cioccolato amarissimo e decorato con un ricciolo di ricotta. Un trancio di pesce con salsa e contorno di giuggiole e cimette di cavoli. Il dolce aveva la forma del creme caramel ma c’era anche del pan di spagna, delle nocciole, delle piccole decorazioni in cioccolato bianco e nero. Per finire dei biscottini, piccola pasticceria, canestrelli e cioccolato.
Tanto cioccolato, eh? Anche se potrebbe sembrare di no, era però una presenza discreta, non predominante.
E poi tre vini bianchi diversi, molto buoni, appena assaggiati però (almeno da me).
Una cena sobria ma raffinata, con il giusto numero di portate, e ingredienti semplici e genuini al tempo stesso.
Io l’ho trovata perfetta.

Delle persone preferirei non parlare perché corro il rischio di nominare questo e non farlo con quello. Ho trovato tutti gradevoli e ben inseriti in quel contesto.
Il mio co-premiato, virgilio boccardi, però lo cito perché lui è un mito.
Vorrei citare anche il giornalista che presentava leggendo brani di calvino, ma purtroppo non lo so.

Dopo la cerimonia, dove io ho raccontato come e perché ho scritto l’articolo su vich, le persone non mi mollavano più. Complimenti, strette di mano. Ma è stata anche l’occasione per scambiare considerazioni su un certo tipo di giornalismo, quello urlato, scandalistico, esagerato, che esalta sempre i fatti più cruenti e morbosi, e che evidentemente sta un po’ venendo a noia, e su quello che si vorrebbe cominciare a leggere, qualcosa di più creativo, magari.

E’ venuta anche una collega veneziana in pensione, apposta per vedere me. E mi ha riempito il cuore. Ho rivisto un redattore di un giornale con cui avevo collaborato tempo fa, e mi ha fatto tanto piacere anche questo.

E’ stata una giornata piena di grandi emozioni. Una cura, un risarcimento per tante cose brutte che ci sono state, per me, negli ultimi anni. L’ho vista anche così.

La conserverò nella memoria e nel cuore con l’attenzione che si riserva a un cucciolo indifeso, a un uccellino caduto dal nido, proteggendola come una cosa fragile ma di un valore infinito, per riviverla e portarla sempre con me.

5 commenti

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5 risposte a “un ultimo sforzo

  1. chi è che non ti sa apprezzare? ringrazio questo blog che mi fa conoscere una simona che nella vita normaleha il pudore oforse la paura di manifestare i suoi sentimenti

  2. Ti dissi, in tempi non sospetti, che sei una grande scrittrice. Avanti così!

  3. Vedo con piacere che non sono la sola a pensarlo…

  4. Raffaella

    Simo, come mi sarebbe piaciuto esserci… la prossima volta dimmelo per tempo! eh eh

  5. Certo, la prossima volta… 😉

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