Noi siamo zingarelle…

La seconda estate che mi chiamarono a lavorare a Rovigo la solita agenzia mi trovò una casa minuscola. Era nel sottotetto di un condominio a due passi dal centro. C’era tutto. Tavolo, sedie, divano letto, armadio, cucinetta e bagno. In ventidue metri quadrati. Il bagno era fin troppo grande, però a differenza del soggiornocucinacamera ci si muoveva bene. La cucina era uno di quei mobili compatti che contenevano pensili, frigo, fornelli, acquaio. C’era anche una bella finestra larga come la parete, su in alto, che dava su una falda del tetto. 

Il divano letto era posizionato sotto la finestra e, considerato il caldo di Rovigo, quando ero a casa stavo sempre svestita. 

Un giorno alla finestra comparve un uomo. 

Camminava sul tetto, tirando un filo o non so che. 

Io urlai e tirai le tende, ma lui nemmeno mi considerò. 

Il padrone di casa poi mi disse che era il solito inglese che saliva spesso sul tetto per sistemare l’antenna o con altre scuse, ma che stessi tranquilla che era innocuo. 

In ogni caso un po’ mi infastidì pensare di non essere più del tutto libera nella mia microcasetta. 

Dopo un po’ però non ci pensai più. 

In quel periodo stavo terminando di scrivere la mia tesi di laurea. Ero al terzo relatore, dopo che il primo mi aveva abbandonato per malattia e il secondo era morto. Questo invece era vivo e vegeto e sembrava che fosse arrivato il momento di chiudere il capitolo università. 

La tesi stava tutta nella memoria di un computer portatile, una rarità per l’epoca, che avevo comprato a prezzo di favore tramite il giornale quando ero collaboratrice. Internet non era ancora diffuso e si usavano i floppy disk. Il computer aveva un modem che tramite il filo del telefono permetteva di trasmettere i pezzi in redazione. 

Un giorno tornai a casa in Toscana per il weekend e lasciai il computer nel micro appartamento. 

La domenica sera, al rientro, mentre salivo l’ultima rampa di scale trascinando il trolley, notai qualcosa di strano alla porta. 

Era socchiusa.

Una specie di nebbia mi avvolse la testa mentre il cuore accelerava i suoi battiti.

Senza pensarci un secondo mi precipitai dentro. 

Il computer era lì, al suo posto, nella valigetta in terra accanto all’armadio, dove l’avevo lasciato. La borsa era stata aperta ma il contenuto era intatto.

Sospiro di sollievo. 

Era quella la cosa più preziosa che avevo in quel momento.

La cucinacamerasoggiorno pareva a posto. Andai in bagno. Qualcuno aveva rovistato fra le spazzole e aveva perso un laccetto per capelli. 

Però non mancava niente. 

Chiamai il 113 e poco dopo arrivarono i poliziotti della volante. 

Il problema vero era la porta. La serratura era stata disfatta e non potevo chiuderla. I poliziotti mi chiesero se avessi un altro posto dove andare per la notte.

Non ce l’avevo. 

Ma ero talmente stanca che mi sentivo tranquilla. Avrei bloccato la porta con una sedia. Il giorno dopo avrei pensato a come risolvere, ma in quel momento volevo solo dormire. 

La mattina chiamai il padrone di casa informandolo di quello che era successo. Disse che ci avrebbe pensato lui a fare risistemare la serratura. Lo ringraziai.

Durante il giorno, poi, mentre ero al lavoro, mi chiamò per dirmi che era tutto a posto, l’intervento era costato all’incirca ventimila lire ma che, anche se sarebbe toccato a me pagare, non me le avrebbe chieste. 

Avrei voluto anche vedere, la porta di quella casa era di carta velina! 

Durante il giro di nera della mattina, quando entrai con il collega dell’altro giornale nell’ufficio delle volanti, il capo mi guardò e si mise a ridere. 

Aveva letto dell’intervento sul mattinale e sapeva già tutto. 

Mi disse che avevo sbagliato a chiamare il 113 dopo essere entrata in casa, avrei dovuto farlo prima. Le ladre potevano essere ancora dentro e la situazione poteva farsi pericolosa. Dalla tipologia del colpo, disse, dovevano essere zingarelle che cercavano ori e gioielli ma a cui non importava niente di un computer (a differenza dei tossici) che non avrebbero saputo come rivendere. 

E meno male.

Almeno quella andò bene, alla fin fine.  

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