In questa storia ci sono cinque personaggi principali, anzi sei.
Tutto ha inizio il giorno che alla PAZIENTE CONSAPEVOLE si infiamma una cisti sebacea fra collo e spalla. Per evitare le lunghe trafile della sanità pubblica si rivolge ad un medico privato che la visita, le dà un appuntamento più avanti per intervenire sulla cisti una volta sfiammata, e poi le dice. “Più che per la cisti, fossi in lei, mi preoccuperei per quella lentiggine sul decolletè…”.
In effetti, mica tanto bella…
E qui inizia la trafila della PAZIENTE CONSAPEVOLE nella struttura sanitaria pubblica. Seguendo il consiglio del medico prende l’appuntamento per una mappatura nevi (chissà perché poi tutti dicono neo eccetto i medici con “nevo”, boh?), appuntamento in ospedale ma privatistico, of course, perché altrimenti avrebbe dovuto aspettare un anno. Logico no?
Finché arriva il giorno della visita con la DERMATOLOGA IRRUENTE.
Questa mappa i nevi, si preoccupa della lentiggine sul decolletè, vieta assolutamente il sole, da lì in poi, alla PAZIENTE CONSAPEVOLE (che al mare perde d’un botto tutta la propria consapevolezza) e fissa una biopsia che verrà fatta pochi giorni dopo.
La biopsia dà un risultato negativo (cioè POSITIVO nella logica della sanità) cosicchè la PAZIENTE CONSAPEVOLE viene chiamata al telefono dalla DERMATOLOGA IRRUENTE che la convoca con urgenza per un responso (senza sorpresa, ovviamente, vista la procedura da elefante in cristalleria).
Si fissa una data per l’asportazione chirurgica, si precisa che il problema è limitato e circoscritto, ma parte comunque l’esenzione totale dal pagamento dei ticket (particolare che fa un certo effetto), si fanno radiografie e ecografie a nastro. Tutte gratis e in tempi velocissimi, potere della malattia.
Arriva il giorno dell’asportazione della lentiggine, operazione della quale si occuperà la CHIRURGA DOLCE che, dolcemente e con tatto, visto che il risultato della biopsia dice che il problema potrebbe essere limitato, decide di tagliare una porzioncina di pelle e carne di poco più grande della lentiggine stessa. Poi, in seguito, se dovesse essercene il bisogno, nel caso, si allargherà il taglio. Logico no?
Il secondo risultato dice delle cose che convingonola CHIRURGA DOLCE ad effettuare un ulteriore taglio. Visto che la PAZIENTE CONSAPEVOLE al momento risulta di competenza della DERMATOLOGA IRRUENTE, la consiglia di recarsi prima da lei per relazionarla sull’andamento dei fatti e poi di tornare per fissare la data del terzo intervento.
La DERMATOLOGA IRRUENTE, preso atto del responso, scrive “allargamento” sul referto e rispedisce la PAZIENTE CONSAPEVOLE dalla CHIRURGA DOLCE.
Questa si dà da fare per trovare una data il più vicina possibile per il terzo intervento che viene infatti fissato di lì a poco.
La PAZIENTE CONSAPEVOLE, essendo consapevole appunto, non segue di regola la medicina ufficiale, preferendo affidarsi alle amorevoli cure della sua OMEOPATA LONTANA, attraverso la quale, oltre a guarire dai propri mali, impara anche ad ampliare il suo sguardo sul complesso mondo delle malattie e delle guarigioni. L’OMEOPATA LONTANA fino ad allora si era limitata a dare i suoi consigli su come curare la ferita, dopo i due tagli, con prodotti naturali. Ma alla notizia del terzo taglio si irrigidisce e consiglia perentoriamente alla PAZIENTE CONSAPEVOLE di non procedere oltre, per non andare per la terza volta ad infierire su una porzione di pelle che sta già cicatrizzando dopo due interventi ravvicinati.
La PAZIENTE CONSAPEVOLE, sapendo di essere temporaneamente di competenza della DERMATOLOGA IRRUENTE, la chiama e le esprime i propri dubbi e timori sulla terza operazione, pronunciando la parola vietata in tutte le strutture ospedaliere italiane (eccetto quella, illuminata, di Pitigliano, Grosseto): omeopatia. Apriti cielo! La DERMATOLOGA IRRUENTE si inalbera, la sua voce diventa tagliente e ironica, consiglia la PAZIENTE CONSAPEVOLE di prendersi alcuni giorni per rinfrescarsi le idee e di rifarsi viva quando si sarà chiarita con se stessa, considerandola evidentemente preda di un attacco di follia non identificato.
La avvisa comunque che dovrà presentarsi di persona nel suo ambulatorio per firmare una liberatoria che esonererà l’ospedale da ogni responsabilità nei suoi confronti, così, tanto per dare l’idea di quale fosse la preoccupazione principale.
Attraverso il medico di base la PAZIENTE CONSAPEVOLE arriva in tempi brevissimi e sempre gratis ad esprimere i propri dubbi e timori ad un ONCOLOGO GENTILE. Egli la mette subito in guardia: lui non crede nell’omeopatia, che ritiene del tutto inutile. Ma alla PAZIENTE CONSAPEVOLE questo non importa. A lei basta sapere se il terzo intervento è veramente necessario o se è solo un obbligo procedurale. L’ONCOLOGO GENTILE fa la sua visita, analizza i referti e trae il responso. La PAZIENTE CONSAPEVOLE può lasciar perdere l’intervento, se preferisce, sappia però che la procedura ormai consolidata da anni lo prevede. Le sue parole sono accompagnate da uno sguardo profondamente umano e da una preoccupazione sincera per il piccolo problema della PAZIENTE CONSAPEVOLE che ne rimane molto colpita.
Ora, siccome va bene tutto, ma non si può viver di conflitti e la PAZIENTE CONSAPEVOLE in particolare non vuole scontrarsi di nuovo con la DERMATOLOGA IRRUENTE che la terrà sotto osservazione (forse) ancora per tre anni, dopo due notti insonni decide di procedere con il terzo taglio.
In ospedale, all’appuntamento stabilito trova un’altra dottoressa, la CHIRURGA DECISA, che si prende in carico l’intera cartellina gialla (dal titolo “pelle”) della PAZIENTE CONSAPEVOLE e la studia da cima a fondo rilevando l’assenza di un certo documento. Non è rilevante, ma in effetti è stato dimenticato in un cassetto e di sicuro dimostra l’estrema attenzione della CHIRURGA DECISA verso ogni particolare. Quindi si procede con l’intervento. Non senza però che prima, la CHIRURGA DECISA abbia criticato aspramente tutta la procedura che ha condotto al terzo intervento. Lei ritiene infatti che la questione si sarebbe potuta risolvere tranquillamente con due soli interventi, esclusa quindi la prima biopsia. Questo perché la prima asportazione (e cioè il secondo intervento) avrebbe valso di per sé da biopsia e l’allargamento ne sarebbe stata la diretta ed eventuale conseguenza. La prima biopsia invece sarebbe stata del tutto inutile e dannosa portando così inevitabilmente a intervenire per ben tre volte. La pelle, in questo modo, già impegnata nel processo di cicatrizzazione, subendo un terzo intervento nello stesso punto avrebbe potuto avere delle notevoli difficoltà a cicatrizzare.
Ecco, parrebbe proprio la stessa teoria precisa identica espressa dalla OMEOPATA LONTANA, solo che questa volta la PAZIENTE CONSAPEVOLE, diventata ancor più CONSAPEVOLE seppur anche un po’ CONFUSA, evita di pronunciare la parola maledetta (OMEOPATIA) che fra i muri dell’ospedale sembra aver l’effetto dell’aglio sui vampiri.
La CHIRURGA DECISA taglia un bel po’, anche col bisturi elettrico, e spiega che sarà molto delicato il processo di cicatrizzazione, ma che lo seguirà lei personalmente. Decide di fare delle suture estetiche così che si veda il meno possibile il triplice passaggio sul disgraziato decolletè.
La PAZIENTE CONSAPEVOLE chiede come sia possibile che seguendo la cosiddetta procedura stabilita da anni, che uno pensa sia una e una sola, dei medici possano dire e fare una cosa e il suo contrario allo stesso tempo, pur ritenendo di essere sempre dalla parte della ragione, ma la CHIRURGA DECISA non ha tutta questa voglia di spiegare anche se fino ad allora si era notevolmente innervosita oltre che espressa con una certa generosità sul tema.
L’insegnamento di tutta questa storia arriverà al termine del famoso processo di cicatrizzazione, forse.
Nel frattempo una riflessione nemmeno tanto profonda porta a considerare quanto negli ospedali ti prendano sempre più o meno per il culo facendoti fare con estrema sicurezza delle cose che loro ritengono giuste ma che in seguito si riveleranno sbagliate, superflue, se non addirittura dannose.
Un’altra considerazione da fare riguarda la misteriosa procedura consolidata e fissata da anni oltreché stabilita da leggi all’apparenza universali che non lo sono poi per niente se in un caso del genere, infinitesimamente piccolo e non questione di vita né di morte, viene effettuato un passaggio in più, chirurgico fra l’altro, quindi estremamente invasivo.
Alla fine, ma non c’era bisogno di tutta questa storia per saperlo, se c’è qualcuno o qualcosa che ne esce a testa alta è l’OMEOPATA LONTANA e l’OMEOPATIA in generale, un metodo di cura cioè che anziché considerare il paziente un numero o un protocollo, o peggio ancora una porzione di pelle o un organo a sé, lo considera un essere umano nella sua interezza e globalità, quindi dotato non solo di un corpo ma anche di spirito, personalità e volontà, e come tale ci si rapporta.
Un altro insegnamento di questa storia (magari totalmente inutile perché lo si riscontrerà, come in questo caso, solo alla fine dell’iter) è che non sempre il taglio chirurgico è l’unica soluzione praticabile e che ci sono anche dei seri motivi per farne il meno possibile.
E il problema non è solo estetico, come pensa un’amica della PAZIENTE CONSAPEVOLE. Perché se la pelle avrà difficoltà a cicatrizzare, e quindi si arrosserà e magari tenderà anche ad infiammarsi, la soluzione non potrà essere, ovviamente, un successivo (e quarto) intervento di chirurgia estetica.
Il pensiero, con le debite proporzioni, va a quanto affrontato da un amico, i cui fratelli hanno deciso, su consiglio dei medici (e lasciandolo dunque in minoranza giacché era contrario) di amputare una gamba al padre 92enne. L’uomo, dopo giorni di sofferenza estrema, giorni di urla e dolore, ha chiuso la bocca, rifiutandosi di mangiare. Consapevole probabilmente che questo lo porterà alla morte ma, come dice il figlio, ha fatto la sua scelta.
Se i medici che hanno insistito per farlo morire con una gamba in meno, privandolo inutilmente dell’integrità del corpo ormai alla fine del suo percorso terreno, continueranno a dormire sonni tranquilli grazie al potente sonnifero delle procedure e dell’invincibilità (ma soprattutto dell’arroganza) della medicina ufficiale, non altrettanto farà quel figlio che mai avrebbe voluto prendere una decisione tanto drastica sul corpo del padre anziano.
E qui non è questione di omeopatia o no, qui è questione di rispetto per l’umanità e l’integrità del paziente. Visto che, come ama ripetere un’amica citando Jim Morrison, nessuno uscirà vivo da qui, tanto vale farlo al meglio e da esseri umani, finché si può.