Il suonatore di sitar

L’insegnante di yoga che seguivo a Belluno ogni tanto organizzava delle pratiche free all’aperto. Questo accadeva con l’arrivo della bella stagione, in genere alla chiusura dei corsi. Un anno la giornata fu organizzata al parco di Villa Montalban. Come al solito l’evento era aperto a chiunque, per cui le mamme portavano i bambini e qualcuno veniva con amici e fidanzati. 

L’appuntamento era per la mattina intorno alle dieci, dieci e mezzo. La pratica yoga durava un’oretta e mezzo, dopo era previsto un picnic sul prato con cibo e bevande da condividere.  

Quell’anno c’era una novità, una delle ragazze aveva un amico che suonava il sitar. Era stato invitato anche lui per intrattenerci con la sua musica prima di pranzo.

Per fortuna la giornata era bella, che a Belluno non è mai detto, per cui la pratica di yoga filò che era una meraviglia. Dopo un’ora e mezzo tutti concentrati in silenzio sugli esercizi, ci sarebbe stato bene anche un aperitivino.

Ma toccava al ragazzo del sitar. Per cui, dopo aver steso dei teli su cui furono disposti i cibi, i piatti e le bevande che ognuno aveva portato, ci apprestammo ad ascoltare, ancora in silenzio, ancora concentrati, quella musica indiana suonata apposta per noi.   

Io mi appoggiai ad un albero, sempre seduta a terra, e mi lasciai pervadere dalle note vibrate che uscivano dallo strumento mentre mi perdevo nei miei pensieri. 

Passò un po’ di tempo in cui stavamo tutti zitti e rilassati mentre il tipo suonava. 

E suonava.

I bambini in realtà non erano affatto rilassati. Uno ad uno avevano cominciato ad agitarsi, dai più grandi ai più piccoli e le mamme cercavano di tamponare la situazione distribuendo carote crude o cracker. La cosa sembrava funzionare, sul momento, ma dopo un po’ tornavano subito ad agitarsi e le mamme con loro.

Ogni distribuzione di cibo o di acqua però veniva fatta in silenzio, cercando di non disturbare il musicista e di non rompere l’atmosfera che si era creata.

Anche io cominciavo ad avere un po’ fame, a dire il vero. Ma non avendo la mamma a cui chiedere cracker o carote crude, mi consolavo pensando che presto sarebbe finito anche quel concerto e ci saremmo messi a mangiare.

D’altra parte non era mica un problema aspettare una mezz’oretta. 

Il tempo però passava, il tipo continuava a far vibrare le corde del suo sitar, le mamme e i figli erano sempre più agitati, le persone cominciavano a guardarsi, timidamente, con aria interrogativa, ma niente. Il tizio continuava a suonare.

Cercai di attirare lo sguardo dell’insegnante di yoga. Niente. Se ne stava seduta a occhi chiusi beandosi di quella musica. 

Una musica che sinceramente mi stava cominciando a dare anche un po’ sui nervi. Altro che relax.

Intanto il tempo passava, il buco nello stomaco si allargava e quello continuava a strimpellare quel cavolo di sitar.

L’una e mezzo era già passata e quel suono vibrante, lagnoso e sempre uguale a se stesso continuava. Cominciai a temere seriamente che la loro concezione ciclica del mondo investisse anche la musica. Senza inizio e senza fine. Ohimè.

Intanto l’insegnante aveva aperto gli occhi. Riuscii ad incrociarli e le feci un segno con le dita a forbice. 

Lei alzò le spalle, come dire, che vuoi farci.

Mi alzai e andai a parlarle all’orecchio. 

  • Credo che sia l’ora di mangiare, vedi i bambini come sono agitati. E anche i grandi…
  • Ma non si può, sta ancora suonando.

Si erano fatte le due. 

Non ricordo se fossi più disperata, infastidita o affamata. Ma credo un mix in parti uguali di tutte e tre le cose. Forse anche qualcuna in più.

Alla fine, intorno alle due e mezzo, non ricordo come e per merito di chi, il sitarista si zittì e noi potemmo finalmente alzarci, sgranchirci le gambe, parlare un po’ tra noi e, soprattutto, mangiare. 

Penso che la volta che mi verrà voglia di scrivere un libro giallo, il primo mistero da risolvere riguarderà l’omicidio di un suonatore di sitar. 

Più di qualcuno, ne sono certa, tirerà un sospiro di sollievo. 

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