Qualche anno fa, per un breve periodo, lavorai per l’inserto regionale del Corriere della Sera come corrispondente da Belluno. Furono mesi molto belli e stimolanti, anche se la mia vita quotidiana non era affatto facile.
Era tutto un modo diverso di lavorare, rispetto al giornale di sempre, dove i ruoli erano abbastanza rigidi e qualunque cosa facessi rimanevo sempre l’ultima ruota del carro.
L’altro quotidiano invece era nato da poco, intendo l’inserto regionale, e c’erano molte più possibilità di misurarsi con sfide più importanti.
Una volta, per esempio, mi mandarono al congresso veneto di Forza Italia a Cortina d’Ampezzo, dove mi ritrovai accanto al super inviato di politica e ad altri giornalisti di spicco.
Per convincermi ad accettare, dalla redazione, sentendo la mia titubanza, mi dissero che avrei dormito una notte all’hotel de la Poste.
- Quando ti ricapita un’occasione così?
Non fu quello il motivo che mi convinse a dire di sì, che di dormire negli alberghi, di lusso o meno, me ne è sempre importato poco. Anzi, a dire il vero l’ho sempre trovato piuttosto stancante, oltre che rumoroso.
Il primo giorno filò abbastanza liscio. Seguii gli interventi, presi appunti e alla fine spedii il mio pezzo in redazione.
Poi andai a cena con un collega. Quindi fu la volta di provare l’ebbrezza di dormire una notte all’hotel de la Poste.
Salii al piano della camera che mi era stata assegnata con il mio bagaglio leggero, camminando per i lunghi corridoi dai pavimenti in legno ricoperti di tappeti, passando davanti a concierge e fattorini in livrea.
Aperta la prima porta d’ingresso alla camera, dopo un piccolo spazio, ce n’era una seconda. Pensai che avrei dormito benissimo, visto che il mio sonno sarebbe stato protetto dalla doppia porta che avrebbe isolato eventuali rumori provenienti dal corridoio.
Sistemai le mie cose e mi infilai sotto le coperte.
Non ricordo se notai subito un’altra porta sulla parete di fronte al letto, ma sicuramente non ci feci troppo caso.
La giornata era stata lunga e impegnativa per cui mi addormentai in poco tempo.
A un certo punto mi svegliai di colpo al suono di una voce, tanto alta quanto vicina. Era un tizio che parlava, anzi urlava, al telefono. La cosa più impressionante, oltre al fatto che fosse già passata l’una di notte, era che il tizio sembrava fosse quasi in camera mia.
Accesi la luce e vidi la porta nella parete di fronte al letto. La voce veniva proprio dall’altra parte.
Che maleducazione.
Chiusi gli occhi, nella speranza che il tizio finisse la propria telefonata al più presto e mi lasciasse dormire in pace.
Cercavo di addormentarmi ma quella voce dal tono acceso mi entrava in testa e non riuscivo a rilassarmi. Finalmente, a un certo punto la telefonata finì.
Mi girai dall’altra parte, abbracciai il cuscino e mi preparai a sprofondare nel sonno.
Un’altra telefonata.
Eh no, pensai. Ora se questo non la finisce chiamo la portineria per segnalare la situazione.
Rimandavo. Alzarmi, comporre il numero e spiegare al concierge ciò che stava succedendo avrebbe significato perdere quel poco di sonno che avevo addosso e svegliarmi del tutto. Preferivo aspettare. Prima o poi avrebbe spento il telefono e si sarebbe messo a dormire anche lui.
Le due e mezzo. Silenzio. Ecco, lo sapevo che prima o poi…
Di nuovo la voce. Arrabbiata, tesa, forte. Avevo anche una mezza idea di chi fosse. Del portavoce, appunto, di un politicone di quel partito, che avevo visto tutto il giorno girare tra platea e sala stampa come una trottola impazzita. Chissà che storie c’erano in ballo. Magari se ascoltavo con attenzione riuscivo a tirar fuori pure uno scoop.
Mi decisi. Se fa un’altra telefonata chiamo la portineria. Silenzio. Finalmente.
Non importa dire che mi sbagliavo, purtroppo.
La solfa andò avanti almeno fino alle tre e mezzo, mentre io ogni cinque minuti pensavo di chiamare il concierge e quello che dopo le urla stava un po’ in silenzio, illudendomi che fosse finita.
Alla fine un po’ riuscii anche a dormire ma il giorno dopo c’era da alzarsi presto e seguire l’ultima parte del congresso, quella decisiva.
La mattina a colazione cercai di individuare il rompipalle notturno. Era proprio lui, l’aria accigliata e il modo di fare di chi è chiamato a risolvere i problemi del mondo. Chi altri se non lui.
Con gli occhi pesti tornai nella sala del congresso e mi sforzai di seguire tutti gli interventi cercando di capire che tipo di cambiamenti potevano anticipare.
A un certo punto un collega mi chiese come avessi dormito, visto che aveva saputo che la notte in albergo era stata un po’ agitata.
Stavo già per raccontargli del portavoce invadente, sicura che si riferisse a lui, quando invece mi raccontò tutta un’altra storia.
Riguardava una senatrice, anche lei molto conosciuta, che durante la notte aveva perso un costosissimo anello d’oro tempestato di pietre preziose. Pare che per recuperarlo fossero dovuti intervenire i dipendenti dell’albergo, insieme agli uomini della scorta, per smontare il tubo del lavandino.
Alla fine l’anello era stato recuperato ma il fatto, vissuto con grande ansia dalla senatrice che si era sfogata nottetempo con telefonate concitate a destra e a manca (un vizio diffuso, a quanto pare), era diventato la barzelletta del giorno.
E questa è stata la mia prima, e unica, notte all’hotel de la Poste.
Proprio un’occasione da non lasciarsi scappare.