Ogni giorno, aprivo Twitter e mettevo un cuoricino al pensiero quotidiano di Pippo Civati. Ogni giorno, ogni santissimo giorno che Dio mette in terra, Civati scriveva il suo augurio per la liberazione di Silvia Romano. Ci fosse la crisi di governo, imperversasse il coronavirus, qualunque fosse la notizia del giorno, il suo primo tweet era per Silvia. I miei primi cuori sono stati del tipo, vabbè mettiamolo, ci mancherebbe altro che volessi che non fosse liberata. Non serve a nulla, né il mio cuore, né tanto meno il suo tweet. Ma nemmeno costa nulla. Poi, man mano che i giorni passavano, ero sempre più contenta che continuasse a ricordarsi di lei senza saltare un solo giorno. E continuavo a mettere il mio cuore. Pian piano mi sono resa conto che il gesto di mettere il cuore cambiava. Non era più un gesto meccanico, ogni volta che vedevo il pensiero di Giuseppe Civati per Silvia Romano libera, con la conta dei giorni da quando era stata rapita, ho cominciato a pensare a come poteva sentirsi. Alla sua famiglia. C’è stato il Natale della sua famiglia senza di lei (e notate, per favore notate, come si comportano, come si esprimono i genitori di queste persone. Come quelli di Silvia, quelli di Giulio Regeni e di altre persone che come loro subiscono eventi inimmaginabili). Ogni mio like, ogni mio cuore, mentre aumentavano i giorni di prigionia, si arricchiva di pensieri. Come starà, a che cosa penserà. Sarà ancora viva. Qualche settimana fa hanno detto che lo era, sospiro di sollievo. Con chi passerà i suoi giorni, le sue notti, che cosa mangerà, e se si sente male la cureranno. E le mestruazioni? E i mal di pancia, di testa, di tutto quello a cui un normale essere umano può aver male già vivendo al comodo calduccio della sua casa circondato dai suoi affetti. L’avranno picchiata, l’avranno stuprata, l’avranno costretta a fare qualcosa di orribile, l’avranno torturata? Ogni giorno, dopo il like a Pippo Civati, mi sentivo più vicina a Silvia. La mia empatia cresceva, diventavo un essere umano migliore. Da protagonista di un fatto di cronaca Silvia prendeva i contorni di una persona in carne e ossa, avrebbe potuto essere un’amica, un’ex compagna di scuola. Un essere umano con i suoi bisogni, le sue paure, le sue fragilità. Ho provato a pensarmi al suo posto. Un pensiero insostenibile. Pian pianU, un microscopico pezzettino della cura quotidiana che coltivo per i miei familiari, per i miei gatti, per le persone a cui voglio bene, per le cose che amo, era destinato anche a lei. Non mi ha tolto nulla. Anzi, se posso dire, mi ha dato molto. Non posso dire che ogni giorno pensassi a Silvia, ma sicuramente ci ho pensato, e ci ho pensato molto più che se non avessi letto quotidianamente il tweet inesorabile di Civati. Per questo ieri alla bellissima notizia della sua liberazione il secondo pensiero è andato a lui, a questo uomo che non conosco, che non seguo politicamente, di cui non so quasi niente. E mi sono commossa due volte. Perché, ora si sa, Silvia è stata forte, i nostri servizi sono stati eccezionali, ma anche il suo è stato un gesto eroico nella sua affettuosa impegnata inesorabile umanità.